PISA. È un Massimo D'Alema sale e pepe, al pari dell'abito che indossava, quello che ieri sera ha fatto da valore aggiunto alla presentazione del libro di Paolo Fontanelli e Gianfranco Micali, "Pisa dei miracoli". Un "lìder maximo" sorridente, ironico più che mai, pronto come sempre a canzonare le domande del giornalista di turno, prodigo di ricordi che affondano nel suo passato pisano, quando studiava alla Normale ed era capogruppo del Pci in Sala Baleari. La cena con Paolo Fontanelli, Enrico Rossi, Ivan Ferrucci, Andrea Manciulli e Marco Filippeschi (antipasto di terra e tagliata) deve averlo ben predisposto, se è vero che dal palco allestito al circolo Arci di Pisanova ha dispensato sorrisi e buonumore, dando lievità a temi politici pesanti come macigni. D'Alema – assieme a lui, oltre agli autori del libro, c'erano Salvatore Settis, Marco Filippeschi e l'onorevole Raffaella Mariani, oltre al giornalista Franco De Felice di Raitre – ha rubato la scena, dribblando domande seriose ed evitando d'invadere il terreno dei sindaci, attuali od ex che fossero. Con l'abilità che gli è consueta ha teso un ponte tra il proprio passato pisano e il futuro della città, tra la dimensione locale e quella nazionale.
Ha iniziato ricordando di aver vissuto la preistoria delle vicende narrate nel libro di Fontanelli, quando lui era appunto capogruppo del Pci e la demarcazione in città tra gli studenti, i suoi abitanti e i turisti era più evidente che mai. Un tema sottolineato da Settis nell'introduzione al volume, ma che D'Alema ha arricchito con la propria esperienza: agli inizi degli anni '70 Pisa era anche fisicamente divisa. Da una parte, a Tramontana, ci stavano gli studenti; dall'altra, a Mezzogiorno, i pisani. «Per incontrarci – ha detto – si doveva attraversare il Ponte di Mezzo. La prima rottura della separazione si ebbe proprio in quei tempi, quando in consiglio comunale entrarono quelli come me, guidati da Emilio Tolaini e Giusy De Felice». Perché all'epoca, ha sottolineato l'ex presidente del consiglio, il Pci non era il partito della città. E l'integrazione tra chi era nato qui e chi veniva da fuori era ancora lontana: «Mi ricordo ancora – ha aggiunto – che io e il capogruppo della Dc, Alessandro Faedo (all'epoca rettore dell'ateneo), arrivavamo sempre anzitempo agli incontri. Lui mi diceva: mettiamoci d'accordo io e lei, prima che arrivino i pisani».
La preistoria politica della Pisa di oggi risale proprio a quegli anni, quando per la prima volta s'iniziò a parlare dello spostamento del Santa Chiara. «Merito di Fontanelli – ha sottolineato D'Alema – è aver dato forza di governo alla visione di una città che veniva da lontano». Uno spunto che gli ha permesso di passare dal particolare all'universale, di compiere un triplo salto dal passato al presente: «Vorrei tanto che il Partito democratico fosse di stampo antico. L'innovazione è tale solo se ha delle radici». Già, il Pd e la politica. Le primarie, secondo il D'Alema-pensiero, sono utili, «ma servirebbe autodisciplina. Mi preoccupa la primarizzazione del partito, le consultazioni non possono riguardare solo le persone: perché non ne facciamo una sul testamento biologico?». E giù applausi a scena aperta: «Fondare un nuovo partito è un'impresa di cultura. Siamo indietro sia qui che sull'organizzazione. Ma il progetto del Partito democratico resta fondamentale».
Beninteso, è stato un dibattito a più voci. Settis, ad esempio, ha ricordato che su quasi tutti i grandi progetti pisani c'è lo zampino di D'Alema: fu lui, Massimo, quand'era presidente del consiglio, a fare intervenire il Governo sulla Torre. E c'era ancora lui quando furono scoperte le navi romane. E se si considera che dello spostamento del Santa Chiara s'inizio a parlare quand'ancora D'Alema era capogruppo a Palazzo Gambacorti, il quadro si compone. Un affresco che Fontanelli ha mostrato di condividere, quando ha detto che il governo di centrodestra, nel 2001, provò a intralciare alcuni progetti importanti per la città. Lui fu avvertito da Dringoli, allora capogruppo di minoranza, e ne parlò con D'Alema: la mediazione dell'ex presidente del consiglio fu fondamentale affinché Gianni Letta intervenisse per rimuovere gli ostacoli.
Insomma, la presentazione di "Pisa dei miracoli" ha avuto un po' il sapore di una celebrazione dei buoni rapporti tra Massimo D'Alema e questa città. Tuttavia non ha distolto l'attenzione su problemi quotidiani, che il sindaco Marco Filippeschi ha puntualmente ricordato compiendo il percorso inverso, passando dall'universale al particolare: «La sfida di ogni giorno è trovare un equilibrio tra grandi progetti e buoni standard di qualità della vita». Ma le luci della ribalta, e altrimenti non poteva essere, sono rimaste saldamente puntate sull'ospite d'eccezione, che ha strappato l'ennesimo applauso parlando del Governo Berlusconi: «Ammiro la capacità che ha il centrodestra di discutere del contrario di quel che fa. Ad esempio, il federalismo: ne parlano come fosse una loro invenzione mentre tolgono le tasse federali a favore di quelle centraliste. È fantastico». Poi c'è stato solamente il tempo dei saluti e delle strette di mano. Vecchi amici con vecchie foto, dediche, abbracci. Un rito al quale lui, il "lider maximo", neppure ha fatto cenno di volersi sottrarre.
Antonio Valentini