Continuo a trovare difficile scrivere Il Punto in una situazione internazionale così drammatica. Le notizie e le immagini che arrivano da Gaza sono così crude da fare pensare che siano una finzione. Il massacro di civili, con una grande parte di donne e di bambini, è enorme. E così appare nonostante l’assenza, sul campo, della stampa internazionale a cui è impedita una adeguata opera di informazione. E’ evidente che Netanyahu e Hamas sono due facce della stessa medaglia: vogliono la guerra infinita, con il comune obiettivo di distruggersi a vicenda. Nessuno dei due riconosce all’altro il diritto di esistere. Le chiacchiere dell’Occidente sui due Stati, con in testa gli Stati Uniti, appaiono del tutto prive di significato, il cui solo valore che se ne può ricavare è quello dell’opportunismo. L’unica cosa certa è che il popolo palestinese è la vittima di questa guerra così come del terrorismo predicato e prodotto dal fanatismo jihadista. Certa è anche l’ondata di odio e di voglia di vendetta che crescerà tra i giovani e i ragazzi che hanno subito gli orrori di questa guerra. Chissà quali saranno i processi internazionali nasceranno da questa situazione, però è una tesi ardita pensare che sarà un mondo migliore. Ma anche su un altro piano che riguarda il futuro del pianeta non c’è da stare allegri.
La Cop 28 sulla crisi climatica fallisce di fatto gli obbiettivi indirizzati a dare una svolta nelle politiche energetiche e ambientali a livello mondiale. Sui programmi volti a contrastare il riscaldamento del pianeta si rischia addirittura di tornare indietro dagli impegni presi precedentemente. Su questi temi, negli ultimi anni, sembrava che prendesse corpo un ampio movimento internazionale, caratterizzato soprattutto dalle giovani generazioni, ma niente di tutto ciò è avvenuto, tranne qualche folata qua e là. Ciò avviene talvolta anche su altri temi connessi soprattutto al tema dei diritti. Molte iniziative partecipate si eclissano in poco tempo e torna a dominare in tutto e per tutto il vecchio modello di sviluppo consumistico, sempre più orientato a far prevalere le logiche individualistiche. Qui si misura anche l’incapacità della sinistra e delle forze progressiste, in Italia e in Europa, nel proporre un’idea alternativa e credibile per un diverso equilibrio economico e sociale. L’equivoco di fondo è considerare riformiste politiche improntate al mantenimento dello stato delle cose presente. Occorre più radicalità nelle proposte e nel linguaggio. Credo che sia una condizione essenziale e necessaria per provare a dare sbocchi politici e di partecipazione alle sensibilità che via via vengono fuori. Perché i movimenti, le proteste e l’indignazione senza uno sbocco politico si esauriscono rapidamente. Ma per costruirlo servono soggetti politici, i partiti radicati sul territorio si diceva un tempo, che invece oggi sono realtà politiche del tutto subordinate e condizionate dagli aspetti comunicativi.
Ovviamente il messaggio e l’immagine sono importanti nel tempo presente, ma non bastano, soprattutto quando il sistema mediatico è quasi totalmente nelle mani della destra e dei “padroni del vapore”. Su questo tema è urgente che la sinistra e soprattutto il PD si interroghino seriamente, per che senza un partito presente nella società con una proposta di unità e di cambiamento non è immaginabile sconfiggere la destra, verso la quale si stanno orientando gli interessi e le ambizioni del centrismo. Tuttavia questo interrogarsi non può riguardare solo i gruppi dirigenti, perché senza un impegno e un concorso dal basso non si costruisce un soggetto politico in grado di raccogliere le istanze di rinnovamento e di giustizia sociale della società. E qui il tema interroga ciascuno di noi, almeno di coloro che sentono la mancanza di una forza politica di sinistra capace di recuperare gli sfiduciati e di parlare al mondo del lavoro e ai giovani.
Una speranza si è manifestata con l’elezione di Elly Schlein alla guida del PD. La partecipazione alle primarie conteneva la domanda di novità e di cambiamento, che la nuova segretaria ha interpretato rimettendo al centro i temi del lavoro, con la battaglia sul salario minimo e sulla precarietà, e quelli della difesa dei grandi servizi pubblici a partire dal sistema sanitario pubblico e universalistico. Ma il compito non è semplice, non solo per l’ ostilità della destra, dei media e di tutti coloro che vorrebbero un PD moderato e di centro, ma in particolare perché nel PD vive il paradosso che mentre sono cambiati i vertici nazionali e regionali con l’elezione della Schlein nel territorio, nei comuni e nelle province, è rimasto tutto come prima, con organismi dirigenti eletti negli anni precedenti. Cosa che rende estremamente difficile procedere a quel superamento delle logiche correntizie da “tutti” auspicato. Detto questo è chiaro che la situazione può essere ribaltata solo con l’irruzione di nuove energie, anche perché denunciare i limiti e chiedere una svolta solo ai vertici non funziona. Senza una base attiva e presente possiamo tuttalpiù partecipare alle “folate” più o meno episodiche di manifestazioni o cortei.
Tutto questo in un Paese che viene descritto da diverse indagini (dal Censis, ma non solo) come fermo, confuso e preoccupato del futuro. Un’Italia in cui crescono la povertà e le disparità, e con esse il costo della vita e l’assenza di una prospettiva economica in grado di salvaguardare un minimo di equilibrio sociale. E crescono anche la sfiducia nella politica e l’astensionismo che, in qualche modo, fanno da pendant ad un processo concreto, già abbastanza avanzato, di svuotamento e demolizione della democrazia parlamentare. La domanda che dobbiamo farci è se da persone di sinistra possiamo solo assistere e giudicare i protagonisti, oppure se non sia il caso di provare a dare una mano per rimotivare energie e conquistarne di nuove nella battaglia politica e culturale per una prospettiva di vero cambiamento del Paese.
Forse è una domanda troppo impegnativa da porre alla vigilia delle feste di Natale, ma in qualche modo rientra nel periodo dell’anno tradizionalmente più dedicato agli auguri.