I risultati delle elezioni politiche hanno portato alla luce diversi “nodi” che contrassegnano le vicende politiche della sinistra italiana degli ultimi decenni e condizionano il futuro prossimo. Come si dice: prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. Non so se sono venuti tutti. Forse no, ma già trovare le risposte a quelli emersi appare molto complicato. Partiamo dal fatto che la sinistra è uscita dalle elezioni con le ossa rotte, anche se c’è qualcuno, nell’area della sinistra, che pensa di aver fatto bingo. Che le elezioni, in termini di seggi e di maggioranza parlamentare, le avrebbe vinte la destra era più che prevedibile dal momento della rottura del progetto del “campo largo”. Con l’attuale legge elettorale era ed è certo che prevale la scelta della costruzione delle alleanze, della coalizione più larga possibile.
L’esito è stato quello che con il 43% dei voti il centro destra ha ottenuto il 58% dei seggi. Una maggioranza molto larga che, attraverso qualche convergenza parlamentare, può arrivare alla soglia delle modifiche costituzionali senza l’obbligo del ricorso al referendum popolare; e l’elezione dei nuovi Presidenti delle Camere non sono certo confortanti, sia per le figure elette che per il messaggio al Paese. Dal punto di vista politico è chiara la sconfitta del PD e della scelta di Letta di chiudere al M5S. Non ha funzionato l’appello al voto utile basato sullo scontro destra-sinistra, di quà o di là. Anzi, il PD ha perso voti verso i centristi del cosiddetto Terzo Polo e ha recuperato solo in parte nell’area progressista, mentre una parte consistente del suo elettorato è scivolata nel non voto, sulla base di un sentimento di delusione e di sfiducia prodotti soprattutto dal malessere sociale. Ciò mette in evidenza la crisi di credibilità che ha investito pesantemente il PD negli ultimi anni, dopo l’abbaglio preso con il renzismo e con la prolungata propensione a stare in governi di emergenza senza un chiaro profilo di sinistra. Tuttavia questa crisi del PD non ha spostato significativi consensi verso altre forze sinistra che, come nella tradizione, navigano nella frammentazione politica. E se lo sbocco delle delusioni e del disagio tra gli elettori del PD è l’astensione ciò significa che il resto della sinistra non convince. Se poi si condivide l’assunto, da molti sostenuto, che il PD non è più una forza di sinistra dovremmo prendere atto che la sinistra in Italia è confinata in un’area elettorale che non supera il 10%. Qualcuno ha sostenuto che un nuovo punto di riferimento per elettori di sinistra è diventato, o può diventare, il M5S. Certamente un po’ di voti della parte militante e politicizzata della sinistra sono andati a Conte, ma non possiamo non considerare che i cinque stelle sono passati dai 10 milioni di voti del 2018 ai 4 e poco più del 25 settembre. Forse Conte ha arginato la fuga e l’abbandono, anche rilanciando l’idea del ritorno alle origini suggerito da Grillo, ma ritenere che abbia fatto una svolta a sinistra è quantomeno ingenuo. È vero che il M5S ha difeso il reddito di cittadinanza e ha parlato di salario minimo, ma non ha cambiato impostazione su scelte come il super bonus o il sistema fiscale con cui si tutelano fasce sociali abbienti.
In ogni modo oggi, a mio parere, la questione principale è quella di ricostruire una proposta politica credibile per la sinistra nel nostro Paese, capace di rimettere in moto un processo di unità e di fiducia per rimotivare tante energie popolari che esistono e che oggi subiscono le conseguenze di una crescente crisi economica e sociale, e anche di mobilitare le coscienze sul tema fondamentale della crisi climatica e ambientale. Un discorso simile stava alla base del progetto di Liberi e Uguali presentato alle elezioni di cinque anni fa, ma non ottenne i consensi sperati e fu precipitosamente abbandonato subito dopo. Adesso il punto è se il PD riesce a prendere atto della caduta di credibilità che lo sta logorando e se di conseguenza decide di aprire una fase nuova, di aprirsi ad un reale processo costituente per una forza progressista animata da idee e contenuti di sinistra. Finora, guardando alla discussione avvenuta nella Direzione Nazionale, non si capisce dove vuole andare.
È evidente che la riproposizione di uno schema congressuale basato sullo statuto attuale e sulle primarie non apre alla possibilità di pensare a qualcosa di nuovo, mentre per recuperare credibilità c’è bisogno di un segnale forte di novità. E poi bisogna mettere un freno alla personalizzazione della politica e delle correnti che ha caratterizzato negativamente l’azione del PD. Inoltre è auspicabile, di fronte al nuovo corso politico di destra che governerà l’Italia, che un discorso di collaborazione si sviluppi fra tutte le forze di sinistra e di opposizione. Ma su tutto questo le prime avvisaglie, a quindici giorni dal voto, non sono molto incoraggianti.
Chiudo con alcune considerazioni sulla politica locale. Parto dal livello regionale. L’esito per il centrosinistra e il PD è estremamente preoccupante è non si spiega solo col dire che non c’è più la Toscana rossa. Non si può sfuggire, come fa Giani e la dirigenza regionale del PD, al fatto che questo voto negativo impone anche una seria riflessione critica sul governo regionale. È chiaro che c’è qualcosa che non va. Far finta di niente aggrava la situazione, per la Regione e per i Comuni. Invece su Pisa, che sarà chiamata alle elezioni amministrative tra pochi mesi, i risultati delle politiche sono stati positivi, in controtendenza rispetto all’andamento regionale e nazionale, probabilmente frutto anche di una campagna elettorale più partecipata. Schematizzando il centrosinistra è sul 40%, il centrodestra sul 30% e il M5S sul 12%. Dunque una buona base per recuperare una maggioranza vincente al Comune. Ma sarebbe un errore pensare che le elezioni amministrative sono come quelle politiche. Sono tutt’altra cosa, e di solito sono ancora più difficili se devi contrastare un Sindaco al primo mandato, quindi sempre in carica. E nel caso pisano il Sindaco Conti si ripresenta con una certa credibilità, soprattutto sul piano della manutenzione della città. Il centrosinistra ha avviato da tempo un cantiere di lavoro che vede l’impegno comune del PD, di Sinistra Civica Ecologista, dei Verdi, di Sinistra Italiana e del M5S. Con le elezioni politiche questo lavoro si è fermato per ragioni comprensibili. Ora, come sostiene il segretario comunale del PD, va ripreso rapidamente, sia sul piano della definizione del programma che su quello della individuazione del profilo del candidato, nel senso che occorre mettere in campo una proposta coerente fra le competenze e le priorità programmatiche che vengono proposte alla città. In tal senso ritengo molto importante anche il messaggio di novità e di rinnovamento da trasmettere ai cittadini. Non so però se siano giusti e utili interventi, come quelli che ho letto sui giornali, che propongono di risolvere i problemi con le primarie. Io credo di no, e penso che partire in questo modo significa bruciare spazi e possibilità per allargare il confronto fuori dalle logiche personalizzanti. Vedo, con preoccupazione, tornare in campo spinte e protagonismi autoreferenziali che assomigliano a quelli che cinque anni fa, al Comune di Pisa, fecero perdere il centrosinistra. Ovviamente le mie sono solo considerazioni di un osservatore disinteressato.