Che dire delle vicende politiche di questi giorni? I due imbroglioni si confermano tali. Ma uno appare sempre più coglione e l’altro, certamente più scaltro e furbo, dimostra una accentuata tendenza alla vigliaccheria e scappa di fronte al confronto sulle proprie responsabilità. Come leggere altrimenti l’incredibile storia del “mandato zero” che cancella uno degli impegni più declamati dal M5S, peraltro illustrata da Di Maio in un video all’altezza delle migliori comiche (la radice grillina del Movimento non tradisce). Oppure l’atteggiamento di Salvini che urla contro l’Europa perché non si fa carico degli immigrati, ma evita di andare a battere i pugni nei vertici dei Ministri degli Interni europei dove si può incidere e intervenire davvero sul problema dei processi immigratori. È evidente che teme il confronto, com’è avvenuto sul caso “russiopoli”: prima aveva detto che lui sarebbe andato in Parlamento a dire che non c’era nessun caso e poi, invece, si è rifugiato nel suo ufficio per non ascoltare lo sbugiardamento fatto nei suoi confronti dal Presidente del Consiglio. Infatti le dichiarazioni di Conte smentiscono clamorosamente quelle fatte dal capo della Lega sul ruolo del fido Savoini e sul suo rapporto con il Ministro Salvini. Nonostante ciò il “capitano” leghista continua a fare sulla rete lo spaccone, il bullo, a chiacchiere ovviamente, anche se talvolta ricorre al vittimismo. Una inclinazione che mal si sposa con il suo bullismo, ma che trova spazio grazie alla subalternità del sistema mediatico.
Comunque sul piano della situazione politica le vicende delle ultime settimane hanno confermato il cambiamento che si sta affermando in questo primo anno di Governo gialloverde. Quello cioè del ribaltamento dei rapporti forza all’interno della maggioranza (oggi la Lega ha i doppio dei consensi del M5S) e di una costante azione di logoramento della democrazia parlamentare rappresentativa. È di oggi il richiamo alla correttezza del funzionamento delle istituzioni repubblicane fatto dal Presidente Mattarella. Mentre assai poco, per non dire niente, è percepibile come cambiamento, fuori dalla propaganda, sul piano della situazione economica e sociale del Paese. Tuttavia pare che agli italiani di questo importi poco, presi come sono dai sentimenti di rabbia, di rancore e involgarimento nei rapporti, che caratterizzano l’epoca attuale. Non tutti, ovviamente, ma una gran parte si. A cui hanno contribuito anche tanti errori della sinistra. Soprattutto quando ha sposato l’idea della personalizzazione della politica e del leaderismo, del ruolo centrale della narrazione anziché dell’organizzazione e della presenza sul territorio, a cominciare dalle periferie povere, e della semplificazione dei problemi. Resta il fatto che adesso la destra ha la strada libera, di fronte ad un M5S investito da un declino che a me pare inarrestabile e di fronte all’attuale mancanza di una alternativa credibile e percorribile delle forze di opposizione. Infatti quello che perdono i Cinquestelle, oggi come oggi, è più facile che vada a rafforzare il populismo di Salvini che non il Partito Democratico. Per di più con un PD che, nonostante l’indiscutibile consenso ottenuto da Zingaretti alle primarie e il buon risultato belle elezioni amministrative, resta prigioniero di una parte del partito e costretto ad agire in modo confuso e ambiguo. In questo quadro la discussione sulla questione del rapporto con il M5S mi sa di paradossale. È certamente vero che per il PD, o per chiunque voglia costruire un’alternativa alla destra, si pone il problema di conquistare o riconquistare almeno una parte degli elettori del M5S, ma è assai dubbio che ciò sia raggiungibile dialogando e cercando intese politiche con Di Maio & C. Si dice che questo è “fare politica”: incidere sulle contraddizioni della maggioranza per dividerla e rendere possibile un altro Governo, soprattutto quando in ballo c’è la tenuta democratica del Paese. In questa affermazione c’è del vero, ma dipende sempre dalle condizioni date. E tra queste è assolutamente necessario che la rottura di un equilibrio parlamentare sia accompagnata da un progetto forte, e soprattutto credibile, di cambiamento sociale. Altrimenti diventa tatticismo politico e più che contrastare rischia di alimentare il populismo della destra. Allora la domanda principale che deve essere posta è se oggi, nelle condizioni date, il PD è in grado di essere riconosciuto in modo credibile come soggetto portatore di un cambiamento sociale? Io penso di no, non vedo alle porte, nonostante la “rivoluzione” invocata da Zingaretti, una svolta così profonda da rimediare alla perdita di fiducia e di consenso di milioni di elettori di sinistra avvenuta negli ultimi anni. Perdita che ha a che fare certamente con le scelte portate avanti sul piano politico e di Governo. Il recupero arrivato nelle recenti elezioni europee è dovuto soprattutto al voto utile, di chi si è posto innanzitutto il problema di arginare la destra, ma non ha carica espansiva. L’impressione è che si sia raschiato il fondo del barile. Solo un progetto nuovo può rimettere in campo una carica motivazionale in grado di recuperare interesse e consensi in chi, deluso, “non ci si ritrovava più” e si è rifugiato nell’astensionismo e, soprattutto, di conquistare consensi nuovi, anche aprendo una pista di forte attenzione verso le aspettative delle giovani generazioni. Di questo, credo, si dovrebbe discutere, anziché buttare tempo per parlare della credibilità del M5S o degli elettori che non hanno capito le magnifiche realizzazioni dei governi di centrosinistra.