Le notizie e i messaggi dei giorni delle feste pasquali, appena trascorsi, non hanno avuto il segno della rassicurazione. Le stragi del terrorismo che hanno preso di mira i disperati che tentavano di fuggire dalla guerra; le bombe di Trump e quelle della Corea del Nord, con le reciproche minacce; il referendum truccato di Erdogan, per diventare a tutti gli effetti il dittatore della Turchia; e altro ancora. Nel mezzo le parole piene di saggezza di Papa Francesco, inascoltate dai più e attaccate, come ha fatto la Marine Le Pen alla ricerca di attenzione mediatica. Siamo arrivati allo sprint finale per la prima corsa elettorale alla Presidenza della Repubblica francese. Domenica prossima si deciderà chi va al ballottaggio. Dai sondaggi sembra che questa volta saranno, forse, in quattro. Purtroppo nei quattro non c’è Hamon, il candidato che ha vinto le primarie del Partito Socialista con una proposta politica di forte rinnovamento per la sinistra riformista. Paga gli errori degli ultimi anni, dei socialisti francesi e di quelli europei. Mentre una previsione significativa riguarda il candidato, ex socialista, della sinistra più radicale, con tratti antieuropei, Jean Luc Melenchon. E anche da qui si avverte il nodo di fondo delle elezioni francesi: passerà anche in Francia l’idea che si può fare a meno dell’Europa? Speriamo di no, ma il rischio è serio. Tuttavia è sempre più evidente che se la sinistra vuole battersi davvero per salvare e rilanciare l’integrazione europea deve rinnovarsi profondamente e cambiare il segno sociale delle politiche economiche seguite finora.
Questo vale anche per il nostro Paese. Lo vediamo anche in questi giorni nel dibattito che accompagna il Documento di Economia e Finanza (DEF) inviati dal Governo in Parlamento. In proposito sul sito, per chi fosse interessato, trovate il dossier. L’indirizzo non cambia e anzi, per ragioni di manovra politica, Renzi mette nel mirino la manovra economica affinché non muti niente rispetto al senso di marcia seguito dal suo Governo. In particolare sul tema fiscale. La parola d’ordine è sempre la stessa: meno tasse per tutti senza parlare in alcun modo di progressività. Saranno i più agiati e ricchi o le multinazionali della finanza, dice il pensiero neoliberista, a farsi carico della redistribuzione della ricchezza, ovviamente dopo aver messo al sicuro la propria, attraverso gli investimenti che dovrebbero generare lavoro, occupazione e redditi.
Anche l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori doveva sbloccare e incentivare gli investimenti, dicevano. Ma chi li ha visti? Di certo l’unica cosa che abbiamo visto crescere in modo indiscutibile è l’aumento della forbice delle diseguaglianze. Comunque chissà com’è contento un giovane in cerca di lavoro se gli dici che l’obbiettivo primario è quello di abbassare le tasse, che non sa nemmeno cosa sono, dato che non le paga. Però dallo Stato si aspetterebbe qualcosa di più, come politiche efficaci per il lavoro, per l’incontro fra domanda e offerta del lavoro. E poi gli investimenti pubblici, per creare e spingere nuove opportunità nel campo della salvaguardia dei servizi e dei beni pubblici, così come nella sicurezza nel campo della salute e dell’ambiente. E anche qualcosa di più sul piano dell’innovazione e della ricerca. Ma queste cose, senza un po’ di tasse, è difficile immaginarle. Vedremo se nel confronto politico delle prossime settimane sul DEF si apriranno gli spazi per una discussione seria, non inficiata da tattiche e logiche politiche di corto respiro.