E’ paradossale che anche su una riforma tanto attesa e da tutti auspicata come il Federalismo fiscale il Governo abbia scelto la via dell’annuncio e della propaganda, anziché quella di un confronto serio e costruttivo con tutti i livelli istituzionali coinvolti. Il federalismo, in attuazione del titolo V della Costituzione, è un obiettivo indicato dai programmi di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
Ma si tratta di una riforma complessa e difficile perché bisogna rivedere i meccanismi di reperimento e di ripartizione delle risorse su tutto il territorio nazionale, e di riordinare funzioni e competenze sulla base di un processo che faccia crescere autonomia e responsabilità in tutti gli Enti Territoriali (Regioni, Province e Comuni). Ciò significa riequilibrare la spesa pubblica, superando la spesa storica ed ancorando le risorse al gettito fiscale prodotto in ogni territorio. E’ chiara la rivendicazione del nord: “noi diamo di più di ciò che riceviamo dai finanziamenti statali e dunque bisogna cambiare e distribuire diversamente le risorse”. Un principio che è nella Costituzione ed è condivisibile perché è accompagnato dall’indicazione di garantire comunque in tutto il Paese i servizi essenziali per i cittadini, e dalla istituzione del fondo perequativo proprio per mantenere un meccanismo di solidarietà territoriale. Altrimenti c’è il rischio della divisione e della frammentazione dell’Italia. Tutto questo deve avvenire senza aumentare la pressione fiscale sugli italiani. Ora è evidente anche ai più sprovveduti che ciò significa rivedere e riorganizzare il sistema tributario e i meccanismi di allocazione delle risorse, e per vedere cosa succede e se funziona ci vogliono le cifre. Dire, come ha fatto il ministro Calderoli che “…non ci rimetterà nessuno e tutti ci guadagneranno…” è una furbata che nasconde e rinvia il merito delle scelte; a meno che in realtà non si pensi che una crescita dei costi è inevitabile, e quindi anche le tasse ai cittadini, oppure ad una drastica riduzione dei servizi pubblici, scaricando così nuovi oneri sulle comunità locali. Ebbene nel ddl. approvato dal Governo si fanno tante affermazioni ma non c’è niente di chiaro, di concreto e di verificabile su questo piano. Non ci sono cifre. Verrebbe da dire, come qualcuno ha scritto che è “una presa di giro” al solo scopo di consentire alla Lega Nord di esultare nel giorno del rito dell’ampolla. Non è un caso che i Presidenti di regioni e province ed i Sindaci abbiano accolto con molta freddezza l’annuncio del Governo. Così come non è un caso che i termini previsti per l’attuazione della delega al Governo siano passati da sei mesi a due anni. Inoltre nel testo varato vi è una notevole approssimazione che testimonia più la confusione che c’è nella maggioranza che non una chiarezza di idee sugli obiettivi da realizzare. Quindi per ora siamo di fronte ad un “bluff” propagandistico, che rischia però di fare danni seri al sistema delle autonomie locali e, in modo particolare ai Comuni. Allo stato attuale tutti gli strumenti di gestione delle entrate degli enti locali sono bloccati. Con il decreto che ha abolito l’ICI sulla prima casa (cioè si è cancellata l’unica imposta effettivamente federalista mentre si è mantenuta intatta tutta la tassazione statale sugli immobili) sono stati congelati tutti gli strumenti e le aliquote di prelievo, mentre ancora non c’è la copertura finanziaria del rimborso dovuto ai Comuni di ciò che hanno perso a causa della mancata entrata, peraltro già prevista nel Bilancio 2008. In questo quadro per i Sindaci pensare alla programmazione per il 2009, con le crescenti richieste che vengono dai cittadini, è un vero è proprio rebus, e il timore che alla fine si dovrà procedere alla diminuzione dei servizi o alla rinuncia degli investimenti necessari allo sviluppo delle comunità locali. Allora che fare? Non c’è altra via che attuare seriamente il federalismo, ma senza “bluff” e furbizie propagandistiche. Per questo occorrono alcune scelte chiara. La prima è vedere e condividere le cifre. Il ministro Tremonti ha sostenuto, giustamente, che le cifre non sono né di destra né di sinistra. Ma ha dimenticato di dire che se le cifre non ci sono ci può essere l’imbroglio. Sarebbe utile quindi individuare uno strumento parlamentare adeguato per coinvolgere maggioranza e opposizione, insieme agli Enti Territoriali, in questo lavoro. La seconda scelta è collegare il federalismo fiscale alla riforma federalista più generale (riordino e semplificazione del sistema delle autonomie, razionalizzazione e riqualificazione della Pubblica Amministrazione, istituzione del Senato federale) perché solo così è possibile trovare nella spesa pubblica i margini per un equilibrio sostenibile tra le diverse realtà regionali senza incrementare le tasse sui cittadini. Se mancano queste condizioni il pericolo è quello di una grande confusione che può solo alimentare contrapposizioni ed egoismi territoriali.
Paolo Fontanelli