Nel fine settimana appena trascorso mi sono trovato a discutere soprattutto del PD e del futuro della sinistra, sia in iniziative organizzate come la presentazione del libro di Stefano Fassina oppure in conversazioni con amici e compagni che conosco da decenni. Non dico certamente una cosa originale, ma devo constatare un quadro di grande confusione, del quale anch’io mi sento parte. Il processo costituente annunciato dal PD è stato ben al di sotto delle attese, anche se nell’assemblea di sabato è stato approvato un manifesto programmatico per il “nuovo PD” che contiene idee e indirizzi che hanno il sapore di una svolta a sinistra rispetto alle politiche seguite negli ultimi anni. Tuttavia restano nodi e ambiguità da sciogliere sulla effettiva volontà di cambiare e rinnovare l’identità del partito. Su questo piano molto dipende dal congresso e dalla scelta sul nuovo segretario.
Una scommessa in tal senso l’ha fatta ArticoloUNO e anche un po’ di ex iscritti o simpatizzanti che vedono nella candidatura di Elly Schlein le potenzialità per aprire una nuova stagione. E tuttavia la strada è in salita perché recuperare la credibilità perduta, soprattutto verso fasce sociali che si sentono abbandonate dalla politica, non è facile. Chi ha scelto di non votare perché ha perso fiducia per ripensarci ha bisogno di un segnale forte, di un progetto credibile per cambiare, sia sul piano della proposta politica che nei contenuti. Da questo punto di vista il PD ne ha di strada da fare per arrestare il declino e rilanciare la sua capacità espansiva. Però ci sono anche altre opinioni presenti nella discussione che vedono invece proprio nel PD l’ostacolo principale per un rilancio della sinistra in Italia, e propongono la nascita di un nuovo soggetto politico in concorrenza con il PD, fino a coloro che ne auspicano la scomparsa. In tal senso posso dire che capisco gli umori, ma mi sfugge la logica di una posizione radicalmente distruttiva e priva di proposta, che nega la possibilità di agire concretamente per realizzare un cambiamento.
Mentre c’è un punto che tutti condividono: quello della preoccupazione per ciò che rappresenta e vuole fare la maggioranza di destra e il Governo Meloni, in termini di stravolgimento della Costituzione e trasformazione autocratica della democrazia italiana. Un allarme largamente condiviso a parole ma assolutamente ignorato sul piano della politica necessaria volta a costruire una reale alternativa alla destra. Molti dicono “bisogna cambiare la legge elettorale e sconfiggere la destra” ma subito dopo si mettono in posizione critica o competitiva nell’ambito delle forze che dovrebbero costruire insieme l’opposizione e l’alternativa alla destra. Ignorando il fatto che per cambiare la legge elettorale e il Governo bisogna vincere le elezioni con l’attuale legge elettorale che, come abbiamo purtroppo sperimentato, avvantaggia enormemente le coalizioni. Infatti appare assai improbabile che la larga maggioranza parlamentare conquistata dalla destra si renda disponibile a riformare le regole elettorali che le hanno permesso di vincere.
Per questo mi auguro che il confuso dibattito che attraversa il campo progressista metta in secondo piano le divisioni e trovi al più presto le ragioni di una battaglia comune. Ha ragione Luigi Ferrajoli a denunciare sul Manifesto come “miserabile l’idea di una competizione fra due sconfitti”. Su questo devono riflettere sia il PD che il M5S, come le altre forze di sinistra.