Il panorama politico italiano resta desolante. Non mi pare che nonostante l’euforia che ha attraversato l’Italia nei giorni del campionato europeo la sostanza dei problemi sia mutata rispetto a un mese fa. Certo di retorica sull’appartenenza nazionale, soprattutto nel sistema mediatico, ne è stata fatta molta, anche troppa. Spesso confondendo lo spirito sportivo e le sue manifestazioni con l’unità del Paese, che se ci fosse sarebbe un bene, ma la realtà dice tutt’altra cosa. Basta guardare alla campagna strumentale e irresponsabile che la destra ha fatto e sta facendo sulle misure di prevenzione anti-pandemia, sui vaccini e sul green pass. Il danno sul piano del rallentamento della vaccinazione di massa e dello spazio lasciato alla variante Delta è serio e c’è voluto il forte richiamo di Draghi per rimettere le cose in carreggiata.
In questo contesto permane un atteggiamento negativo, divisivo e menzognero, di giornali e reti televisive largamente influenzati e orientati dalla destra. Anche sul piano della situazione economica e sociale restano aperti seri e gravi problemi. Gli indicatori economici dicono che siamo in ripresa, ma tuttavia siamo alle prese con diverse realtà di aziende che chiudono e licenziano brutalmente, com’è avvenuto alla GKN, ignorando i richiami delle istituzioni locali e approfittando di una qualche cedevolezza governativa verso le richieste di Confindustria. Si tratta di un problema e di un segnale importante anche in relazione alla possibile crescita di un forte malessere sociale nella fase di uscita dall’emergenza Covid.
La pandemia ha allargato le diseguaglianze e aggravato le condizioni di vita di una parte rilevante della popolazione. I dati sull’aumento della povertà sono evidenti. Ma le scelte politiche per fronteggiare questa situazione non appaiono in grado di costruire quel clima di fiducia nel Paese che sarebbe necessario per imprimere una svolta capace di trasmettere protezione peri ceti più deboli e disagiati. Certo i fondi che arriveranno dal Next generation EU saranno ossigeno per il rilancio economico, ma se le cose non cambiano sarà difficile individuare il nesso con il futuro e con una visione capace di mobilitare energie e speranze nuove. Infatti nel dibattito pubblico assai poco si parla della transizione ecologica, obbiettivo primario per contrastare il mutamento climatico che mette in discussione il futuro del pianeta. Una transizione che per essere vera in realtà significa una profonda riconversione dell’attuale modo di produrre, di consumare e di rispettare l’ambiente.
In mancanza di un discorso visibile, percepibile su questi aspetti il contesto politico rimane favorevole per quelle forze che cavalcano il populismo individualista, del pensare agli affari propri scaricando le difficoltà nel risentimento sociale, e nello stesso tempo proteggendo gli interessi dei “padroni del vapore”, si propongono come garanti dell’idea di sviluppo e di crescita antecedente alla pandemia. Del resto anche vicende come quelle tornate a galla in questi giorni, relative alla mattanza operata dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto a Genova, venti anni fa, o a quella assai recente attuata nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere, testimoniano di un problema di clima civile irrisolto nel nostro Paese. Anche la sostanziale indifferenza verso i drammi dell’immigrazione, da quelli del mare a quelli delle condizioni nei luoghi di lavoro, fino a episodi come quello di Voghera, segnalano un abbassamento di attenzione sul livello di civiltà del Paese. Per questo penso che le forze di sinistra e progressiste potranno ritrovare e rilanciare il proprio ruolo se sapranno proporre una sfida nuova di cambiamento, proiettata sul futuro, capace di andare ben oltre le ravvicinate scadenze elettorali.
È questo il tema che deve affrontare il PD, e anche il frammentato mondo della sinistra ambientalista. Il rapporto con il M5S, che pare aver trovato un assetto stabile con la guida di Conte, non crea attrazione se sta nell’alveo di una alleanza elettorale, così come non produce nessun interesse la ricerca di un accordo elettorale con Renzi o con Calenda, che difficilmente si possono collocare in un disegno di cambiamento. È ben visibile anche il tentativo dei principali poteri economici italiani di spingere il PD in un’ottica di stabilizzazione moderata. Pensano sostanzialmente di controbilanciare la crescita di un centrodestra sempre più destra con il rilancio di un nuovo centrismo, e in questo senso va letta la sistematica campagna giornalistica volta a spezzare qualsiasi dialogo fra il PD e il M5S. In tale quadro guardare ad una prospettiva politica limitata alle scadenze della legislatura (elezione del Presidente della Repubblica e elezioni politiche del 2023) rischia di essere una soluzione di poco respiro, anche sul piano elettorale. Ha ragione chi pensa in Europa, come fa anche Tsipras in una intervista al Manifesto, che dopo la pandemia non possiamo immaginare di tornare al neoliberismo. Il rischio c’è; anzi, forse qualcosa di più di un rischio. Ma se la sinistra non riesce a pensare e progettare il cambiamento non riuscirà nemmeno a essere una forza credibile di governo.