Mi capita spesso di incontrare persone di sinistra, militanti di vecchia data e anche elettori più recenti, che si dicono sconcertate dalla situazione politica italiana e, ovviamente, dalle vicende delle guerre. In particolare da ciò che si legge e si vede a Gaza, dove sembra scomparsa ogni cognizione di umanità. Si tratta di uno sconcerto quasi sempre accompagnato da un senso di impotenza e di disimpegno. Anche quando si mette l’accento sulle preoccupazioni per la tenuta della democrazia e’ difficile che scatti la molla di una domanda di reazione in termini di azione e di impegno concreto. Eppure le ragioni e le condizioni materiali per spingere verso nuove mobilitazioni non mancano. Basta pensare alla crescita dell’area della povertà, economica e formativa, o all’aumento delle diseguaglianze. Uno studio recente delle università Bicocca e Sant’Anna informa che in Italia il 12% del valore nazionale è nelle mani dell’1% della popolazione e che questo uno per cento paga meno tasse del 99% dei contribuenti italiani. Mentre i provvedimenti economici del Governo non solo sfuggono difronte a questo problema ma agiscono da moltiplicatori delle disparità sociali favorendo forme concordate di elusione fiscale per una serie di categorie.
La linea su cui si sta muovendo il Governo Meloni si basa su due assi portanti, che sono il tentativo di corporativizzazione delle politiche economiche e sociali e la marginalizzazione del ruolo del Parlamento con le riforme che accentrano il potere sul Presidente del Consiglio. Del resto un ridimensionamento delle funzioni del Parlamento è già in atto da tempo e adesso viene ancora più accentuato con la maggioranza di destra. Peraltro si tratta di una gestione del potere, fatta di occupazione di tutti gli spazi istituzionali con scelte che favoriscono parenti e amici con il solo criterio della appartenenza e della fedeltà al capo. E per stare più tranquilli tolgono o alleggeriscono tutte quelle norme che dovrebbero garantire la trasparenza e la lotta alla corruzione. In altri tempi cose simili avrebbero provocato una indignazione diffusa, nei media e tra i cittadini. Oggi invece prevale l’indifferenza, come se le politiche clientelari e gli interessi personali facciano parte della normalità del governo della cosa pubblica. Anche sui costi delle Istituzioni negli anni passati sono state fatte campagne qualunquistiche generalizzanti, che hanno aperto la strada al populismo più deteriore, e adesso silenzio sul fatto che la Meloni ha realizzato il record di spesa e di poltrone portando il bilancio della Presidenza del Consiglio a superare i 21 milioni annui, e pure la Camera e il Senato, nonostante la diminuzione del numero dei parlamentari, hanno incrementato significativamente i costi in bilancio. Cosa che mi “rode” parecchio visto il duro lavoro che avevamo fatto come questori nella legislatura 2013/2018 per realizzare un risparmio importante sul bilancio della Camera di oltre 240 milioni.
Tuttavia le questioni che hanno una rilevanza decisiva per il futuro della democrazia rappresentativa sono quelle che riguardano la revisione della Carta Costituzionale, dal premierato alla autonomia differenziata, di cui parleremo anche in occasione della presentazione del libro di Roberto Zaccaria, e sulle quali mi auguro che si risvegli, magari in vista dei referendum, un’ampia sensibilità da parte dell’opinione pubblica democratica. Indubbiamente una coesione maggiore nell’ambito delle forze che si richiamano alla sinistra aiuterebbe. Ma forse questo e’ uno sforzo vano, vista la difficoltà che in proposito avviene in ogni singola forza, o istanza, o movimento, che si definiscono di sinistra. A cominciare dal PD, ma non solo. Purtroppo “l’unione fa la forza”, oppure “uniti si vince”, sono parole d’ordine assai poco praticate nel tempo attuale.
Di fatto è già iniziata la campagna elettorale per le europee. Il voto con il sistema proporzionale accentuerà la competizione nell’ambito delle stesse aree elettorali. Sarà così nel campo del centrosinistra e con il M5S, ma sarebbe un errore drammatizzare oltre un certo limite. Ma va comunque visto come un punto significativo e rivelatore, l’attacco che costantemente viene portato alla Elly Schlein non solo dalla destra ma anche dal mondo economico e finanziario che guida e condiziona il sistema mediatico. Una parte di questo mondo teme una svolta a sinistra del PD, perché individua nel PD il soggetto politico che deve occupare uno spazio centrista, di garanzia e di affidabilità per gli equilibri del Paese, così come ha fatto con il Governo Draghi. Ma se si guarda con obiettività ai segnali sociali così come ai sondaggi, quello che emerge come possibile potenzialità elettorale per il PD non è nell’area moderata ma semmai nell’area grande dell’astensionismo dal voto, motivato proprio dalla delusione per una politica che appare lontana dai propri problemi. Ed è su questo che bisogna agire.
In un tale contesto una sconfitta elettorale della segreteria di Elly Schlein metterebbe, a mio parere, in crisi definiva il progetto di un PD capace di interpretare una domanda di cambiamento sociale e di rinnovamento politico del Paese, allontanando inesorabilmente l’obbiettivo della costruzione di una alternativa concreta alla destra.