Ho speso gran parte del tempo di questa specie di quarantena nelle letture, poi la sera TV e film. Ovviamente è inevitabile dare un’occhiata alla rete, ma confesso con una crescente ritrosia. Ho visto che aumenta sensibilmente la propensione a chattare e a inviare di tutto, spesso con l’idea che in questo modo si mantiene il dialogo con gli altri, ma il risultato, almeno dal mio punto di vista, non mi pare granché. Emerge una tendenza al protagonismo non molto costruttiva, e anche un po’ illusoria sul piano della reale consistenza delle relazioni. Ma detto questo mi astengo dal giudicare e mi rifugio in una posizione che prevede di guardare la messaggeria sull’iPhone il meno possibile.
Da oggi, oltre alle letture, incrementerò la musica, naturalmente senza rinunciare all’informazione. In molti organi del sistema mediatico, televisivi o di stampa, viene messa in rilievo la “confusione” o la “indeterminatezza” dei provvedimenti presi dal Governo e delle uscite “precipitose” del premier Conte. Anche a me, come a tanti, sorgono molti interrogativi sui passi e sulle misure attuate o annunciate, ma se ci pensiamo un attimo come potrebbe essere altrimenti di fronte ad un virus nuovo, con un’alta velocità di contagio, come quella che stiamo attraversando? Non solo noi ma tutti i Paesi del mondo si sono trovati impreparati e, tutto sommato, l’Italia ha dimostrato una capacità di reazione molto alta, nonostante la debolezza e l’inadeguatezza dell’Europa anche in questo caso, soprattutto sul piano politico. È inevitabile, credo, che in una situazione di questo genere ci sia un po’ di confusione e la forzata esigenza di procedere per gradi, come quella di verificare continuamente gli effetti delle misure prese. Comunque, in ogni caso, la cosa più ponderata e giusta è quella di avere fiducia nelle istituzioni e rispetto verso il ruolo primario che devono svolgere gli scienziati, gli studiosi e gli operatori della salute. Mettere in discussione il ruolo del Governo in tale contesto è assolutamente irresponsabile. Chiaramente distorsive sono le posizioni delle opposizioni e, purtroppo, anche di qualche leader (?) della maggioranza che se la prendono con Conte per “eccesso di protagonismo”.
Pare una comica: Salvini, la Meloni e Renzi, campioni di politica personalizzata, produttori di dichiarazioni a ciclo continuo, che si lamentano della visibilità del Presidente del Consiglio. Anzi, quasi senza pudore, loro che hanno sostenuto più volte l’esigenza di dare “pieni poteri” al premier, ovviamente quando toccava a loro, oggi gridano contro la “forzatura autoritaria” rappresentata dalle decisioni del Governo. Evidentemente si agitano così tanto perché temono di arrivare tardi all’appuntamento che dovrebbe consegnargli le chiavi del potere. Ma detto questo penso che sia impossibile immaginare che una volta usciti da questa pandemia e dalla crisi economica e sociale che va generando si possa tornare alla situazione precedente. L’impatto cambierà i bisogni, le attese e le possibilità su ogni piano: da quello del livello di vita, delle sue priorità fino a quello culturale. Ma non sarà semplice e indolore. Si confronteranno idee, visioni e modelli di sviluppo per il futuro diversi e contrastanti fra loro. Conterà anche l’analisi e la riflessione che sapremo fare sulla situazione che viviamo adesso.
Allora su due aspetti mi preme richiamare l’attenzione. Il primo riguarda il rischio che, nello “stato di necessità” in cui ci troviamo, maturi l’idea che misure restrittive della libertà siano accettabili se favoriscono la velocità delle decisioni e la semplificazione del sistema politico, magari riducendo o facendo a meno della funzione del Parlamento, e possono quindi diventare una opzione possibile. Su questo piano bisogna stare molto in guardia e non perdere di vista la nostra Costituzione che dice chiaramente cosa è possibile e cosa no. Tra le cose che sono essenziali e non stravolgibili c’è l’assetto parlamentare come condizione fondamentale della democrazia e della Repubblica. Per questo sono dell’opinione che la funzione delle Camere vada esercitata anche nella condizione dello “stato di necessità”. Il secondo aspetto riguarda il tema dello sviluppo, quello del recente passato e non quello del futuro. Ma può essere da insegnamento. La pandemia del Coronavirus ha fatto emergere clamorosamente due cose. L’insufficienza delle strutture ospedaliere, anche come posti e spazi attrezzati, e la mancanza di materiali, di strumenti e di dotazioni indispensabili per affrontare emergenze sanitarie di massa. Penso alle mascherine, la cui produzione è concentrata in Cina, Vietnam e Turchia, e farne scorte in una situazione di emergenza internazionale diventa un’impresa molto difficile.
Ebbene entrambi i problemi ci dicono quanto sia stata un errore la pratica liberista impostata sul concetto “più mercato e meno Stato”, che in sanità ha significato meno pubblico e più privato. Se è il mercato che comanda è naturale che le produzioni dei beni che normalmente hanno meno valore aggiunto in termini di profitto si spostano nei Paesi dove il costo del lavoro è molto basso, così come nei servizi aumentano gli spazi del privato a discapito del sistema pubblico. È quanto è accaduto nell’ultimo ventennio in Occidente, e meno male che in Italia il sistema sanitario, pur negli evidenti squilibri regionali e nonostante i tagli al suo finanziamento, ha mantenuto un accettabile livello di presenza e di qualità. Anche grazie alla dedizione e alla professionalità dei medici, dei tecnici e degli infermieri, ai qual in queste ore va rivolta tutta la solidarietà possibile.