Mancano ormai pochi giorni alle elezioni europee. Poche sono le occasioni per assistere ad un dibattito serio sulle politiche e sulle prospettive necessarie per rilanciare l’Europa e il suo ruolo nel mondo. Si parla molto di guerra e di armi in un contesto in cui la funzione dell’Europa è aleatoria, ininfluente e totalmente priva di una iniziativa volta a fermare i conflitti e ridare senso all’obiettivo della pace. E, in tale contesto, stupisce non poco la disattenzione e la sottovalutazione dei pericoli da parte dei cittadini europei. In altre epoche la discussione e la mobilitazione su problemi come questi, che investono il futuro dell’umanità, era ben più grande e visibile. Mentre oggi ciò che sta al centro dell’informazione e dei processi comunicativi è una agglomerazione di propaganda del tutto fuorviante dalla realtà economica, sociale e civile del Paesi europei e dell’Italia in particolare.
Il Governo Meloni, che sta occupando tutti gli spazi di potere possibili, a cominciare dalla tv pubblica, non fa altro che raccontare di risultati che descrivono un Paese in crescita (a dispetto dei dati che evidenziano un forte incremento delle diseguaglianze e delle povertà) e allo stesso tempo bisognoso di riforme che cambiano nel profondo gli equilibri tra i poteri previsti dalla nostra Costituzione. Un disegno che a partire alla introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio ridimensiona il ruolo del Parlamento e del Capo dello Stato e mira a sottoporre al potere politico dell’esecutivo sia il sistema giudiziario che quello dell’informazione. Le preoccupazioni per la tenuta del nostro sistema democratico sono reali, anche perché un processo di logoramento delle democrazie è in corso in molti altri Paesi occidentali e ci troviamo a fare i conti con l’indebolimento di valori fondamentali come la giustizia sociale, la solidarietà, la partecipazione democratica. Mentre crescono i nazionalismi e gli egoismi sociali. Certamente si tratta di una analisi frettolosa, ma tuttavia ciò che mi preme evidenziare è la portata del passaggio elettorale dell’8 e 9 giugno.
La sinistra e le forze progressiste non ci arrivano nel modo migliore. Prevale la frammentazione e si fa fatica a individuare un progetto condiviso per l’Europa. Anzi, nella logica del proporzionale si accentua la competizione tra vicini e si allontana la costruzione di una alternativa credibile alla maggioranza di destra che governa l’Italia. In questo quadro l’unica che si muove con uno spirito visibile di mobilitazione e di battaglia per una svolta politica è Elly Schlein, che con una certa fatica cerca di riportare il PD su una linea credibile di sinistra, in grado di tenere insieme la questione sociale con la lotta per la transizione ecologica, pur scontando ancora una dose di ambiguità sul tema della pace derivante dalle posizioni del partito socialista europeo. E’ evidente che il risultato elettorale condizionerà le scelte e le posizioni posizioni nei prossimi mesi e, secondo me, solo un rafforzamento della segreteria di Elly Schlein può aprire la strada ad un processo di rinnovamento nella sinistra sempre più auspicabile. Per questo penso sia importante sostenerla anche con un grande apporto di preferenze personali. Non solo perché, in qualche modo, c’è un confronto con la Meloni, ma soprattutto perché credo sia sbagliato un approccio con il voto di preferenza che non metta al primo posto la capolista segretaria del partito. In tal senso non mi appassiona la battaglia sulle preferenze tra diversi candidati, nonostante ce ne siano diversi che conosco e che stimo.
Condivido però la scelta di candidare Nicola Zingaretti al parlamento europeo per la ragione che può tornare ad essere un ottimo capogruppo, come fece negli anni 2004-2008 guidando la rappresentanza dei DS a Bruxelles, per questo conosciuto e apprezzato nei partiti di sinistra in Europa. Lo voterò, ovviamente dopo la Schlein. Detto questo resta, anche per me, l’impegno a far capire l’importanza di andare a votare a tanti che in questi hanno maturato una scelta astensionista, motivata da un disagio critico o da delusione politica, ma che non si risolve certamente disertando le urne. Purtroppo ogni segnale che va nel senso di una crescita del non voto contribuisce, di fatto, all’indebolimento della democrazia fondata sulla rappresentanza, così come pensata e definita dalla nostra Costituzione.