In quasi tutte le iniziative a cui ho partecipato nelle ultime settimane si è avvicinato qualche iscritto o elettore del Pd per dire, in ordine al congresso ormai avviato, che " non dobbiamo litigare", che dobbiamo essere "più uniti per combattere questa destra", che bisogna "mettere da parte i personalismi". All'inaugurazione della nuova sede del Pd di Fornacette un iscritto mi ha detto che "sperava che andassero subito tutti in ferie per far sparire dai telegiornali le notizie sulle nostre divisioni". Si referiva ai dirigenti nazionali del Pd. E' evidente che in queste sollecitazioni c'è una sensibilità reale, che viene da una storia e che è mossa dalla preoccupazione di non essere divisi e deboli di fronte ad un governo e ad una maggioranza di destra che dimostrano ogni giorno, sui problemi del Paese, una forte inadeguatezza accompagnata da una grande arroganza politica. Ovviamente gli elettori del centrosinistra vorrebbero una opposizione più incisiva e un progetto per puntare a vincere le elezioni. Ma è proprio per questo che si fa un congresso, che forse era meglio aver fatto prima. E allora perché tanto timore per la discussione ? Perché all'esigenza di dibattito si associa la paura della divisione ? Anche due anni fa, quando abbiamo eletto Veltroni segretario, avevamo la preoccupazione dell'unità tanto che Bersani fu convinto a non presentare la sua candidatura. Tuttavia non è bastata l'elezione plebiscitaria del segretario a impedire i problemi e le difficoltà. Anzi, semmai è la mancata riflessione critica sugli esiti delle elezioni politiche che ha pesato negativamente: un po' di discussione ci avrebbe fatto bene. Invece poi sono venuti i risultati delle elezioni in Abruzzo, in Sardegna e infine nelle europee e amministrative del giugno scorso. Allora è meglio discutere, con l'obbiettivo di chiarirsi e di dare al Pd una linea precisa e visibile e senza il timore delle differenze di idee, di posizioni, di temperamenti. Solo così il Pd potrà uscire dal congresso più forte e più unito. Ci sono oggi le condizioni per lasciarsi alle spalle vecchi dualismi e i candidati che sono in campo, da Franceschini a Bersani a Marino, sono in grado di aprire una fase nuova, purchè si mettano da parte le spinte alle pratiche correntizie che al pari dei dualismi hanno limitato e danneggiato l'azione del Pd. Si tratta di pratiche che hanno trovato spazio nei processi di personalizzazione esasperata della politica (anche nelle primarie) e hanno ostacolato il lavoro di insediamento e di costruzione del partito nel territorio. Dunque ciò di cui abbiamo bisogno è un confronto serio, approfondito, nel merito delle proposte politiche e della loro corrispondenza con i propositi e la personalità dei candidati. E di questo non dobbiamo avere nessun timore, nonostante le discutibili modalità congressuali stabilite dalle statuto del Pd. Allora confrontiamoci sulla politica e non su schemi semplicistici e privi di contenuti come le categorie del vecchio e del nuovo. In primo luogo, a mio parere, abbiamo bisogno di definire una discontinuità rispetto alla linea seguita in questi due anni. Non per tornare indietro: non si può nemmeno a volerlo. Con la nascita del Pd sono stati tagliati i ponti alle spalle; e anche la crisi della sinistra che si era contrapposta al progetto del Pd lo dimostra chiaramente. Ma nemmeno si può proseguire andando avanti come se nulla fosse su una strada che ci ha dato solo sconfitte. Qualche correzione di rotta sarà pur necessaria. Comunque il punto principale deve essere l'elaborazione di una proposta alternativa di governo, sostanziata da una idea di sviluppo in grado di portare l'Italia fuori dala crisi e da un percorso credibile di costruzione di un'ampio schieramento sociale e politico capace di battere il centrodestra. In questo senso è fondamentale tirar fuori il massimo della creatività riformatrice, con concretezza e realismo. E poi dobbiamo rendere più solide le basi culturali del progetto del Pd, salvaguardando il pluralismo interno ma in un quadro di reale condivisione dei valori di fondo, a partire da quello della laicità. Infine occorre fare il partito, nel senso di costruire nel territorio una presenza organizzata, attiva, fatta di iscritti che partecipano e di circoli che discutono e fanno politica nel modo più aperto possibile. Ciò implica il riconoscimento di poteri locali, in primo luogo sulle decisioni per le candidature, che finora è stato debole e deresponsabilizzante. Le primarie vanno mantenute, soprattutto per le cariche pubbliche e anche per i parlamentari (almeno fino a quando esisteranno le liste bloccate), ma devono essere regolate diversamente: non debbono impedire o vanificare il necessario confronto interno e il diritto di voto deve essere attribuito effettivamente sulla base degli elenchi degli elettori. Ho cercato nelle mozioni presentate risposte convincenti a queste considerazioni. Ci sono passaggi e accenni diffusi in tutti i testi; e anche differenze. Quello che mi ha convinto di più è Pierluigi Bersani, per i contenuti, per la sua determinazione riformista e per aver detto chiaramente che vuole fare da "pontiere" per un nuovo gruppo dirigente.
Paolo Fontanelli
Responsabile enti locali del Pd