un mese dal terremoto in Abruzzo, emergono problemi finora trattati con superficialità. Si è dato molto spazio alla presenza dello Stato e dello stesso presidente del Consiglio che si è speso in impegni e promesse. Ed era giusto fare così perché il primo messaggio, insieme all'intervento sull'emergenza, doveva essere quello della fiducia nella ricostruzione. Ora però occorre un impegno serio sul territorio: non basta infatti un'azione solo fondata sulla comunicazione, sui riflettori, sulle promesse e sull'idea che tutto si risolve con una gestione centralizzata, guidata da un salvatore più che da un governo.
Infatti nel decreto per la ricostruzione in Abruzzo, in discussione al Senato, ci sono limiti assai seri che meritano di essere discussi, così come hanno chiesto il sindaco e il presidente della Provincia dell'Aquila. In primo luogo sui fondi effettivamente messi a disposizione: le risorse stanziate e coperte sono per l'emergenza, circa un miliardo e trecento milioni, mentre quelle per la ricostruzione sono individuate in provvedimenti ipotetici e il livello dei contributo previsto alle famiglie per la ricostruzione delle case è insufficiente e non ben definito.
Ma la cosa più preoccupante è l'esclusione degli enti territoriali dalla gestione della ricostruzione. Anche il presidente della Regione è stato ridimensionato per accentrare tutto nelle mani della presidenza del Consiglio e del capo della Protezione Civile. Una scelta che non solo contraddice lo sbandierato federalismo ma va in controtendenza rispetto ai casi di ricostruzione che negli ultimi vent'anni hanno dato gli esiti migliori: penso ai terremoti del Friuli, dell'Umbria e delle Marche nei quali furono dati pieni poteri ai Presidenti delle Regioni e fu perseguito e realizzato un sistematico coinvolgimento di Comuni e Province.
Anche per altre gravi calamità – come alluvioni e dissesto idrogeologico – è stato attuato un modello simile. Penso all'esperienza della Versilia e della Garfagnana che in pochi anni hanno visto completata la ricostruzione in sicurezza delle zone colpite dalla tragica alluvione del giugno 1996.
Queste vicende ci insegnano che per fare bene, per ricostruire un tessuto urbano e un territorio lacerato, e per ricreare fiducia nel futuro, è necessario sviluppare il massimo di collaborazione e di responsabilizzazione e in questo il ruolo degli enti locali è decisivo: sono gli amministratori locali a stare in prima linea, che hanno un rapporto quotidiano e diretto con i cittadini. E i cittadini devono essere consapevoli degli impegni necessari per rispondere alle grandi difficoltà da affrontare dopo una calamità devastante.
Per questo abbiamo espresso serie perplessità sul decreto del governo e proporremo rilevanti emendamenti perché le risorse disponibili siano certe e sia dato un ruolo forte e responsabile agli enti territoriali. Sappiamo bene che, spenti i riflettori, per le popolazioni colpite dal terremoto arriveranno problemi veri e pesanti.
Paolo Fontanelli – responsabile nazionale Enti Locali del PD