Ancora più preoccupante l'impatto su enti locali e regioni della manovra economica del governo Berlusconi: chiesti alla finanza locale 1.650 milioni per il 2009, 2.900 per il 2010 e 5.100 per il 2011.
La conseguenza è la compressione degli investimenti pubblici e la riduzione della spesa sociale. Mentre cresce l'insicurezza sociale determinata dalla crisi economica e dall'impoverimento di diversi settori della società.
Il titolo di questa assemblea indica già chiaramente quale è la questione che vogliamo discutere e soprattutto quale livello d’iniziativa è necessario mettere in campo.
I comuni si trovano in una situazione di grandi difficoltà e di incertezza, sia nei tempi più immediati che in prospettiva. L’allarme rosso deriva da entrambi questi fattori.
Un primo aspetto è il risultato prodotto dai provvedimenti in essere, approvati dal Parlamento, sull’ICI. Allo stato delle cose, sui bilanci in corso del 2008, i comuni si trovano con una riduzione delle risorse previste di circa 1 miliardo e mezzo per effetto dell’abolizione ICI sulla prima casa e del decreto Visco del 2006 che anticipava la riduzione dei trasferimenti sulle base delle nuove –e presunte- entrate per l’ampliamento della base imponibile su alcune categorie di immobili. Questo perché la cifra di rimborso prevista nel decreto Tremonti sul mancato gettito ICI è nettamente al di sotto delle stime che anche nella relazione di maggioranza al Senato sono state richiamate. Il differenziale è di circa un miliardo e per ora al di là di impegni generici non risultano stanziamenti concreti.
Ora è evidente il paradosso di una situazione di così grande incertezza che si scarica sull’esercizio di bilanci che hanno superato metà anno. Per questo molti sindaci e amministratori locali hanno manifestato in queste settimane il loro motivato disagio.
Comunque noi confidiamo che, anche in ragione delle proposte e della battaglia parlamentare che abbiamo fatto nei giorni scorsi, e della pressione che è stata esercitata dall’Anci e dalle Associazioni degli Enti Locali, che si trovino risposte chiare e convincenti al più presto a questo problema. Ma è bene non abbassare la guardia perché le risposte del governo siano puntuali e convincenti.
Ma l’aspetto più preoccupante è l’impatto sugli Enti Locali e sulle Regioni della manovra economica che parte dal DPEF e che è ora in discussione alla Camera. Forse dire in discussione è un po’ troppo, visto che si procede sistematicamente per voti di fiducia.
Il contributo che viene chiesto alla finanza locale al conseguimento degli obbiettivi, in termini di indebitamento netto, risulta molto alto: 1.650 milioni di euro per il 2009, 2.900 milioni per il 2010 e oltre 5.100 per l’anno 2011. A cui si aggiungono i pesanti tagli alla spesa sanitarie che vanno ad incidere sull’assistenza e sulle condizioni di vita dei cittadini. Si tratta di un peso e di una scelta del tutto insostenibile che, se confermata, produrrà effetti profondamente negativi sulle comunità locali e sulle famiglie.
E’ evidente che ciò porterà ad una compressione degli investimenti pubblici da un lato e ad una riduzione consistente della spesa sociale dall’altro. Sono tra l’altro due campi nei quali cresce la domanda d’intervento sia per motivazioni legate allo sviluppo che per ragioni strettamente connesse alla crescita di insicurezza sociale determinata dalla crisi economica e dall’impoverimento, in termini di potere d’acquisto, di diversi settori sociali.
Non è certamente il primo anno in cui si interviene con una certa pesantezza in direzione del sistema delle autonomie locali. Una azione di contenimento della spesa è iniziata da tempo e per quanto riguarda i comuni ha prodotto un’importanze riduzione della spesa corrente, come dicono anche le cifre di diverse indagini; ultima lo studio di Dexia-Crediop citato dal Sole 24ore di ieri. Al contrario di ciò che invece è avvenuto nella spesa degli altri comparti della Pubblica Amministrazione. Per questo la penalizzazione eccessiva che viene riproposta con il DL 112 è negativa e finisce per indebolire un punto vitale e centrale del rapporto fra i cittadini e le istituzioni.
In questo contesto anche l’introduzione di tagli ulteriori a voci come il fondo per la montagna, o l’esproprio sui fondi stanziati per l’emergenza abitativa, o i compensi dei Sindaci, nel caso dei comuni che non rispettano il patto di stabilità, segnalano una particolare animosità verso i comuni che è difficile comprendere. Condividiamo pienamente la proposta di Domenici e Chiamparino, avanzata ai Presidenti di Camera e Senato, di istituire una commissione di studio, di alto valore istituzionale, alla quale affidare il compito di indicare soluzioni organiche che riguardino tutte le indennità: dal parlamento agli amministratori regionali e locali.
Così come va considerata errata l’idea di introdurre impropriamente in un decreto economico norme che hanno un valore ordinamentale o che comunque richiederebbero un serio e adeguato confronto non solo in sede parlamentare ma anche con le Associazioni rappresentative della realtà delle autonomie locali. In questo senso il caso dei Servizi Pubblici Locali è eclatante. E’ inconcepibile che misure che sono destinate a cambiare profondamente il sistema dei servizi pubblici, a incidere in modo significativo nel tessuto industriale del paese e sulla presenza di diversi attori italiani e europei, a modificare sensibilmente i valori patrimoniali dei comuni, vengano portate avanti senza una seria e approfondita discussione con tutti i soggetti interessati.A ciò si aggiunge l’opera di svuotamento del ruolo e della funzione costituzionale del Parlamento attraverso procedure che forzano i passaggi regolamentari, impediscono un confronto costruttivo, che per essere tale non può annullare la possibilità emendativa, e con la fiducia cancellano ogni reale spazio di dialogo.
Ma le ragioni di fondo del nostro allarme non stanno solo nelle motivazioni che abbiamo detto finora. E non sono, come qualcuno pensa, una manifestazione prevalente del disagio dei sindaci che attraverso queste misure vedono messo in discussione il loro ruolo e il riconoscimento, pienamente legittimo, della loro funzione di rappresentanza degli interessi delle comunità locali.
Noi vogliamo qui richiamare due grandi questioni che sono fortemente connesse con gli intessi generali e con il futuro del Paese. E che per essere affrontate in modo efficace non possono prescindere dalla funzione e dall’attività degli Enti Locali.
La prima riguarda le conseguenze della crisi economica e sociale sulle famiglie che è la prima priorità del Paese. Di fronte alle difficoltà e ai crescenti disagi emerge una richiesta di maggiore protezione, che ha un riflesso anche sui temi della sicurezza, e che spesso si traduce in domanda di servizi. Dalle politiche per l’infanzia (asili nido e materne, trasporti scolastici e mensa) a quelle per gli anziani (e qui è forte la questione della non-autosufficienza), fino all’assistenza per le categorie svantaggiate. Su questi punti si gioca un pezzo importante della possibilità di salvaguardare un livello accettabile. della coesione sociale. Qui c’è un ruolo essenziale e insostituibile dei comuni. A cominciare dai piccoli comuni che possono invece trovarsi, con le politiche che il governo ha impostato, a fare i conti con una situazione di progressivo indebolimento dei servizi che può mettere a rischio anche la tenuta di molte comunità sul piano dell’insediamento territoriale.
Da questo punto di vista l’affermazione del Ministro Tremonti che insieme al federalismo fiscale bisogna indicare la strada di “un’economia sociale di mercato” costituisce un tema serio su cui mettere l’attenzione. L’idea, non nuova certo, è quella di puntare ad un sostanziale ridimensionamento dello stato sociale locale e lasciare che molti servizi, di quelli che citavamo, vengano svolti da privati. Non è una cosa nuova. Già ci sono. Ma va anche ricordato che i costi, e anche la qualità delle prestazioni, non sono paragonabili a quelle dei servizi pubblici. Con ciò non vogliamo dire che un problema di riorganizzazione e miglioramento dell’efficienza non sia all’ordine del giorno anche nel settore pubblico, in un contesto che comporta un doverosa azione di contenimento della spesa pubblica. Anzi, pensiamo che su questo punto sia opportuno un confronto ad ampio raggio, a cominciare dalle organizzazioni sindacali. Ma l’obbiettivo deve essere quello dell’ampliamento e non della riduzione della rete dei servizi pubblici. Certo, anche non gestiti direttamente, ma comunque governati dal sistema pubblico perché questa è la condizione necessaria per garantire equità sul piano dei costi e della distribuzione delle opportunità.
La seconda questione sono gli effetti della crisi sul tessuto civile del Paese. I segnali sono quelli di una forte preoccupazione per la frammentazione sociale, le chiusure di carattere egoistico –sociali e territoriali- e di tipo corporativo. La perdita a vista d’occhio di una adeguata attenzione verso gli interessi generali. La caduta del senso civico ne è una dimostrazione sempre più evidente. Il concetto di convivenza nelle comunità locali è sottoposto, assai spesso, a stressanti discussioni.Si tratta di un aspetto centrale per rilanciare fiducia e motivazione nel Paese e per contrastare quei processi negativi descritti in diversi saggi sulla società italiana, pubblicati negli ultimi mesi, che parlano di “Repubblica del risentimento”, di “Rancore” e di “Società cinica”. In ciò vi è anche una parte dell’analisi del voto alle lezioni politiche: un’Italia impaurita, che teme il futuro e si chiude di fronte all’idea del cambiamento. Questa è una delle sfide più grandi. A cui è legata, almeno in parte, anche la possibilità di dare una risposta alla perdita di credibilità della politica.La domanda è: com’è possibile rimettere in moto un processo di fiducia tra i cittadini e le istituzioni senza il concorso dei comuni ? Ed è giusto e utile porre questa domanda a tutti gli attori della vita politica e sociale del Paese. La risposta non può che essere quella di ribadire ciò che nella storia italiana ha rappresentato un elemento essenziale della crescita civile. Ovvero la straordinaria realtà dei comuni. Ecco senza i comuni è impossibile pensare alla rivitalizzazione di quel tessuto civico che oggi appare fortemente logorato.
E’ qui che si colloca oggi il tema dell’autonomia locale. Non è solo la salvaguardia delle prerogative degli Enti Locali, è un pezzo della risposta alla crisi dell’Italia.Purtroppo in questi anni, dal 2001 ad ora, abbiamo scontato un centralismo di ritorno nonostante il titolo V della costituzione. Mentre si spendevano fiumi di parole in nome del federalismo in realtà si procedeva in una direzione opposta, fatta soprattutto di compressione dell’autonomia. Il paradosso più evidente è la destrutturazione dell’autonomia impositiva. Nel giro di poco tempo è quasi scomparsa. Gli ultimi atti sono stati l’abolizione dell’ICI (tipica imposta comunale) sulla prima casa e il congelamento di tutti gli strumenti tributari per il reperimento di risorse. E ciò ha prodotto anche una minore responsabilizzazione degli Enti Territoriali, mentre per noi autonomia significa in primo luogo responsabilità.
E’ con questa visione che noi pensiamo alle riforme necessarie. A cominciare dal federalismo. L’attuazione dell’articolo 119 della costituzione è urgente e va affrontata con coerenza e rispetto degli equilibri istituzionali disegnati dal titolo V. La strada non è certo quella della legge approvata dalla Regione Lombardia. Bisogna invece partire dal documento condiviso dalle Regioni con le integrazioni proposte dall’Anci. E’ necessario pensare ai tributi propri e per i comuni è fondamentale che si recuperi un rapporto fra possibilità impositive e patrimonio immobiliare. Ciò al fine di sviluppare le funzioni catastali e una gestione più dinamica del territorio. Allo stesso tempo devo essere garantiti i principi previsti nell’articolo 117 che stabiliscono l’obbiettivo di salvaguardare l’erogazione dei servizi essenziali in tutto il territorio nazionale.
Il PD sta lavorando ad una propria proposta sul federalismo fiscale e ci confronteremo con i propositi e la volontà della maggioranza con le nostre idee. Giustamente al seminario promosso dai gruppi parlamentari il segretario Walter Veltroni ha indicato un percorso di ampia discussione, anche nel partito a livello territoriale, sul nostro progetto di federalismo.
In parallelo dobbiamo sostenere la necessità di realizzare la riforma del sistema delle autonomie. La nostra ipotesi è quella di ripartire dal “codice” proposto dal governo Prodi, con la convinzione che l’esigenza di produrre un processo di semplificazione e di adeguatezza sia reale. Ovviamente si tratta di lavorare nel quadro dell’attuale assetto costituzionale, ma ricercando e proponendo le innovazioni che possono rendere più efficace ed efficiente la dimensione del governo locale. E un punto importante sarà quello delle città metropolitane.
Quindi la nostra iniziativa non si limita all’emergenza indicata nel titolo di questa assemblea. Anzi con il lavoro che stiamo impostando come dipartimento degli Enti Locali cercheremo di dare continuità anche agli aspetti più progettuali che riguardano i problemi delle autonomie. In proposito pensiamo, se l’agenda ce lo consentirà, di promuovere per il prossimo autunno una conferenza nazionale degli eletti nei consigli regionali, provinciali e comunali. L’idea è che una iniziativa di questo tipo sia utile anche per la preparazione delle piattaforme politiche e programmatiche per le elezioni amministrative del 2009.
Tuttavia ora è importante insistere sulla preoccupante situazione dei comuni e collegare questa battaglia al lavoro e alla mobilitazione per la manifestazione del 25 ottobre, con lo spirito che anima gli amministratori del PD. Che significa, innanzitutto, capacità di farsi interpreti delle attese e dei bisogni delle comunità locali.