La guerra in Ucraina prosegue con tutto il suo bagaglio di orrore, fatto di distruzione e di scempio di vite, militari e soprattutto civili. È indubbio che la resistenza Ucraina all’invasione russa si è rivelata più forte e compatta del previsto, sostenuta dal suo popolo. È evidente che la guerra farà crescere enormemente quello spirito nazionalista che era già presente in una parte del popolo ucraino, in qualche modo connesso ad un’idea di libertà costruita e maturata sulle promesse del consumismo occidentale, ma che ora si alimenterà di odio verso la Russia in ragione della violenza e della crudeltà con cui ha sviluppato l’aggressione al loro Paese.
Certo, alla base di questo disastro ci sono i nazionalismi, quello russo così come quello degli altri Stati usciti dalla dissoluzione dell’URSS e del Patto di Varsavia, a suo tempo usati e alimentati dall’occidente, e in particolare dagli USA, per aumentare la sua influenza sull’Est dell’Europa. Nazionalismi che non solo adesso condizionano il progetto dell’Unione Europea, come evidenziano i casi dell’Ungheria o della Polonia, ma che hanno per lungo tempo segnato anche il comportamento dei Paesi fondatori impedendo un reale e profondo processo di unificazione della UE, privandola di una politica estera e di difesa condivisa e integrata. E oggi ne paghiamo lo scotto, scontando una pesante subalternità agli Stati Uniti sul piano politico e alla Russia sul piano dell’approvvigionamento energetico. Una situazione che rende l’Europa debole e con poca voce sul conflitto in atto.
Invece proprio a partire dall’affermazione che si tratta di “una guerra nel cuore dell’Europa” è proprio da questa, dall’Europa che c’è, che dovrebbe partire una forte e decisa iniziativa per fermare le armi e per aprire la strada ad un negoziato. L’Europa, se vuole recuperare un ruolo efficace, deve essere protagonista di una proposta di nuova coesistenza pacifica, dopo quella che si diceva a suo tempo assicurata dalla guerra fredda e dall’equilibrio del terrore rappresentato dagli armamenti nucleari. E su questa strada rilanciare l’obbiettivo di una riduzione degli arsenali militari. Ma purtroppo finora i segnali vanno in altra direzione se, come appare, ogni Paese agisce per conto proprio e si finisce per aumentare le spese per gli armamenti, senza peraltro realizzare e rafforzare un progetto credibile di sicurezza nonostante i ripetuti propositi di agire con unità e compattezza. Ma sarebbe già un buon segnale se finalmente l’UE riuscisse a formulare un appello per ottenere un cessate il fuoco e l’attivazione di un reale confronto fra le parti.
Le parole pronunciate in questi giorni da Papa Francesco sono qualcosa di più di un auspicio e possono aiutare una iniziativa europea. È ovvio che la decisione del cessate il fuoco è nelle mani di Putin: è lui che l’ha aperto e si spenge solo se lui si ferma. Ed è ovvio che l’Ucraina non si sentirà al sicuro se lasciata sola, e quindi vorrà delle garanzie sulla propria esistenza di Paese libero e autonomo. Ma la situazione non è semplice perché sostanzialmente Putin si è indebolito sul lato della diffidenza e dell’isolamento internazionale e, tra l’altro, deve mettere nel conto le nuove richieste di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia, intimorite dalla logica di prepotenza seguita dalla Russia.
Comunque la via da seguire non può essere quella impostata da Biden e da Zelensky tutta basata sulla ricerca della sconfitta militare di Putin. Ciò porterebbe ad un livello di tensione molto pericoloso, difficile da governare. Ancora in queste ore ascoltiamo drammatiche notizie di guerra e continuiamo a sperare che la pace torni ad essere il primo obbiettivo per tutti. Nel contempo si moltiplicano le preoccupazioni sugli effetti della guerra nel campo dell’economia e delle condizioni di vita nei Paesi europei. Il timore di entrare in una fase di recessione è reale e serio. Non siamo ancora usciti del tutto dalla vicenda della pandemia e abbiamo appena iniziato con il “Next Generation EU” ad affrontare l’emergenza climatica, che rappresenta una sfida cruciale per il futuro del pianeta. In questo contesto il confronto politico italiano appare sfuocato e inadeguato, caratterizzato dalla tattica e dai posizionamenti elettorali, mentre crescono le spinte alla sfiducia e alla disaffezione sia verso la politica che alla pratica del civismo e della responsabilità, in cui anche la sinistra fa fatica a distinguersi, presa da ulteriori frammentazioni prodotte dalla discussione sull’invasione dell’Ucraina.
Questa almeno è la mia impressione, ma sul che fare non saprei cosa dire se non che bisogna fare argine al pessimismo e provare a rinnovare la convinzione che le cose si cambiano con l’impegno e la partecipazione.