In questi ultimi giorni di giugno ho cercato di recuperare più tempo per le letture. Da quando non ho più incarichi stringenti e impegnativi, appena arriva l’estate, mi prende lo spirito vacanziero e allento l’attenzione verso i fatti della politica. Ho appena finito la lettura dell’ultimo libro di Antonio Manzini, “Vecchie conoscenze”, e mi torna comodo riprendere una frase del vicequestore Schiavone per avviare il discorso. “È che ogni tanto succede che si aprono le tende, come ora, e vedo il panorama. Non è un granché”, dice Schiavone al suo interlocutore. Ecco, è la rappresentazione del tempo che viviamo. Sì, stiamo cercando di uscire faticosamente dalla lunga pandemia e far ripartire l’economia del Paese dopo un periodo di crisi che ha accentuato le diseguaglianze sociali e le difficoltà per tante famiglie. Un’opera che sarebbe certamente più agevole se non ci fosse un sistema mediatico dell’informazione subalterno e biforcuto come quello italiano, che ha la costante pretesa di condizionare gli umori e le opinioni del Paese.
Invece è assai difficile intravedere gli spazi per un discorso pubblico sulle cose che vanno o che non vanno proiettato sul futuro prossimo, e in particolare sulle prospettive per le generazioni più giovani. E così quando apriamo le tende sul panorama politico l’effetto è desolante. Pensiamo alle vicende del M5S. Ciò che sta accadendo ha dell’incredibile: prima Grillo chiede a Conte un progetto per rilanciare il Movimento, già in crisi politica e di consensi da diversi mesi, e poi lo scarica riproponendo il suo ruolo di padrone assoluto dei destini del M5S. Ma per quanto tutto ciò appaia assurdo non mi sorprende. Certo un po’ preoccupa, soprattutto in un contesto che vede il centrodestra in “pole position” per le prossime elezioni politiche, con la sinistra e il centrosinistra distanziati e in grande affanno. In molti speravano, sperano, che sulla base di una alleanza in linea con la maggioranza che ha sostenuto il Governo Conte fosse possibile mettere in campo una proposta alternativa e competitiva alla destra; anche io tra questi. Però le cose sono più complicate di quelle che sembrano. Sia perché il “campo progressista e di sinistra” fa una grande fatica per riattivare canali di fiducia con quel l’elettorato che per delusioni varie lo ha abbandonato dal 2015 in poi; e sia perché il M5S non ha mai affrontato e risolto le ambigue basi politiche su cui è cresciuto. Il Movimento di Grillo si è affermato cavalcando l’antipartitismo, con toni qualunquisti e distruttivi, e un populismo moralisteggiante privo di qualsiasi aspetto di analisi critica della realtà. È evidente che nella sua crescita, con l’apice raggiunto nelle politiche del 2018, ha intercettato molti elettori che prima votavano a sinistra, ma è anche evidente che la sua affermazione ha accentuato e non diminuito i guasti che fin dagli anni ottanta si stavano sviluppando nel sistema politico italiano, mettendo in crisi la credibilità della democrazia rappresentativa come pensata nella Costituzione. In poche parole: crescita della sfiducia verso i partiti e contestualmente personalizzazione della politica con al centro l’idea della leadership fondata sull’immagine e la comunicazione. Ovvero i partiti personali. Grillo e il M5S sono uno dei prototipi di questo genere, altro che “democrazia diretta”. Ancora oggi Grillo ragiona così, nonostante si trovi di fronte alla deriva disgregatrice che sta prendendo il M5S, mentre non è chiara a quale idea della soggettività e della rappresentanza politica sia ispirato il progetto di Giuseppe Conte. Vedremo quali saranno gli sviluppi di questa situazione nei prossimi giorni. Ma, nonostante le comprensibili preoccupazioni per il rischio che un disfacimento del M5S lasci campo libero alla destra, penso che, forse, sia una cosa utile quella di mettere nel conto che si può andare incontro ad una fase di governo guidata dalla destra come una opportunità per ricostruire le condizioni e la credibilità di una prospettiva di sinistra.
Questo non significa affatto mollare sul fronte della battaglia politica quotidiana, a cominciare dallo sprone al Governo Draghi per garantire le misure necessarie sul piano della lotta alle diseguaglianze e dello sviluppo delle politiche di transizione ecologica, finora molto annunciate ma poco praticate. Ma è sempre più evidente che l’attuale assetto politico è pensato in funzione di una stabilizzazione economica degli attuali rapporti di forza sociali, con uno sbocco politico moderato garantito dal centrodestra. Basta leggere gli editoriali di Repubblica, il Corriere o la Stampa per capire quale è il disegno avviato con l’affossamento del Governo Conte. Per questo credo che l’iniziativa messa in campo da Enrico Letta e dal PD sia tuttora debole e insufficiente, ma anche a sinistra si registrano limiti e timidezze assai evidenti. L’impressione è quella di restare bloccati dentro una logica dominata dai posizionamenti e dai tatticismi, personali o di piccoli gruppi, senza avere il coraggio di provare a mettersi insieme per lanciare un progetto nuovo, fondato sull’obbiettivo di dare visibilità e rappresentatività a quelle realtà sociali che hanno pagato e pagano il peso maggiore della crisi e la mancanza di aspettative per il futuro. In sintesi: per un cambiamento necessario e possibile. Se invece restiamo nel contesto della gestione del “possibile” o del “meno peggio” penso che sia difficile riattivare canali, vecchi e nuovi, capaci di rilanciare il ruolo e il peso della sinistra.