Oggi sono andato a Firenze alla cerimonia di saluto per Riccardo Conti, che ci lasciato tre giorni fa. L’avevo visto ad una riunione di Articolo UNO qualche mese fa, poi la malattia lo ha fermato. Riccardo aveva aderito con convinzione e determinazione all’idea di far vita ad un nuovo soggetto politico della sinistra e provava una certa intolleranza verso le definizioni che bollavano come scissionisti quelli che hanno deciso di uscire dal PD. Riccardo era un riformista democratico rigoroso, che non amava le semplificazioni e pensava che la cultura fosse un elemento essenziale della elaborazione politica. Un interprete innovativo della cultura politica dei comunisti italiani, spesso vista e fortemente connessa con il territorio fiorentino e toscano. Politico e amministratore locale al tempo stesso, con una idea e una pratica della militanza fatta di umanità, di solidarietà e di rispetto per il confronto. Io l’ho conosciuto così: come un compagno di grande sensibilità e intelligenza a cui piaceva confrontarsi, ascoltare e approfondire insieme i problemi con l’intento, sempre, di far emergere una visione che non fosse ristretta all’ordine del quotidiano. Una visione da trasmettere agli altri, soprattutto ai più giovani, con costante passione politica.
Con lui ho avuto molte occasioni di collaborazione e impegno comune sul piano amministrativo e una volta ci siamo anche bisticciati di brutto. Ma alla fine della riunione ci siamo abbracciati, più per sua iniziativa che non per mia. Stima, rispetto e amicizia portati avanti nel tempo. Erano valori molto diffusi nel PCI e nella storia della sinistra italiana nella seconda metà del secolo scorso. Chi ha raccontato il PCI (e i suoi “sviluppi”) come la storia di un partito monolitico, chiuso, bloccato nel centralismo democratico, ha fatto un torto alla realtà, alla verità delle cose. Soprattutto per quello che ha costruito nei rapporti e nelle relazioni fra le persone che si sono riconosciute e si sono impegnate pienamente in quella esperienza. Ecco, oggi durante la cerimonia pensavo, con il groppo in gola, soprattutto a questo, ascoltando gli interventi sentiti di Patrizio Mecacci, Michele Ventura e Gianni Cuperlo. E ogni confronto con la realtà presente, nel modo e nelle forme attuali del fare politica, sembra davvero improponibile.
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La vita a volte è profondamente ingiusta. Ti sia lieve la terra