Tanta gente alla presentazione del libro di Enrico Letta “Contro venti e maree”. Io l’ho letto all’inizio della settimana scorsa e ho apprezzato la lucida analisi sulla situazione dell’Europa e sull’esigenza di mettere il massimo di impegno per rilanciare il progetto dell’integrazione europea. A partire, giustamente, da una svolta profonda nelle politiche seguite finora. Ecco, se c’è qualcosa che manca nel libro, è una maggiore esplicitazione proprio delle politiche da fare e, in particolare, del cambiamento da realizzare in ordine alle grandi scelte di politica economica e finanziaria, che sono alla base della crisi e hanno condizionato e orientato le azioni dell’Ue come di quasi tutti i governi del continente. Ma nel complesso si tratta di una buona lettura, introdotta da un giudizio politico molto crudo e critico sugli ultimi anni della politica italiana. Quelli, viene da dire anche se Letta non fa nomi, della leadership di Renzi. Tuttavia due cose che non sono nel libro le ha dette rispondendo alle domande del direttore del Tirreno che lo ha intervistato. La prima è che non ha più la tessera del Pd da almeno due anni. E’ uscito prima di me. Fa parte di quella “scissione silenziosa” che non si è voluta vedere per tanto tempo, nonostante i risultati delle elezioni amministrative. La seconda è la dichiarazione che andrà a votare per Orlando alle primarie. E’ “l’ultima chance” ha detto. E allora, se vince Renzi che succede?
Comunque, negli ultimi giorni, negli interventi di tanti commentatori e esponenti politici emergono forti preoccupazioni sulla questione della legge elettorale. Anche Letta ne ha parlato, così come Andrea Orlando, e anche tante persone tra quelle che seguono la politica e si interrogano sul futuro del Paese. Eppure quando si discusse in Parlamento della legge elettorale, dell’Italicum tanto voluto da Renzi fino a metterci la fiducia di Governo e di fare spallucce alle dimissioni di Speranza da capogruppo, ci fu chi nel PD si dissociò (non fummo in tanti) affermando che quella legge era sbagliata e ci avrebbe portato, quella sì, nella palude. Però allora eravamo gufi o boicottatori del leader. Oggi molti si sono svegliati o ricreduti. In gran parte ci ha pensato il referendum del 4 dicembre. Dopo la vittoria del “No”, non prima. La stessa cosa sta avvenendo per quanto riguarda le politiche del lavoro. Forse se qualche considerazione in più veniva posta a suo tempo sulle posizioni critiche della minoranza interna qualche errore poteva essere evitato. Ma purtroppo, nel tempo che viviamo, prevalgono di più le ragioni connesse ai posizionamento personali che non quelle rivolte alla riflessione sulle prospettive della politica e del Paese.
Però non è più il momento dei rimpianti o delle recriminazioni. Adesso dobbiamo mettercela tutta per ricostruire il centrosinistra e con esso una sinistra capace di rinnovare la sua proposta, per di rimotivare i tanti militanti e elettori delusi e soprattutto per parlare ai giovani, che si sentono lontani da una politica che non si occupa di loro.
La manifestazione di ieri a Napoli, che ha lanciato i comitati di Articolo UNO, ha dato il via ad una nuova iniziativa per cui vale la pena di impegnarsi. Si è parlato soprattutto dei problemi del Paese e dei temi da mettere al centro dell’azione politica: dal lavoro alla lotta alle diseguaglianze; dalla scuola alla lotta alle mafie e al loro inquinamento del sistema economico, dagli enti locali fino alla questione del rilancio della democrazia della rappresentanza, partendo dalla restituzione agli elettori del potere di scelta dei loro parlamentari. Ecco, muovendo da questi primi spunti si deve sviluppare un’ampio coinvolgimento di energie per preparare l’appuntamento costituente delle prossime settimane. Discutendo dei problemi, appunto.
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