Mentre si attende il secondo giro delle consultazioni del Presidente Mattarella, per sapere se si aprono spiragli per la formazione di un Governo, nell’area del centrosinistra si stenta a trovare il filo di una seria riflessione su ciò che è avvenuto il 4 di marzo. A mio parere c’è una forte sottovalutazione degli effetti di quel voto e, soprattutto, delle ragioni che hanno portato a quelle scelte elettorali che hanno indubbiamente premiato il M5S e la Lega di Salvini. Quest’ultima in particolare nei nostri territori. Si dice, semplificando molto, che hanno vinto due populismi; oppure, forse più correttamente, che il voto è andato contro il vecchio sistema e ha espresso, pur in modo contraddittorio, una richiesta di cambiamento. E la sinistra, tutta, è stata identificata come parte essenziale del vecchio sistema. Del resto negli ultimi cinque anni di Governo il tema della gestione del potere è stato sempre in prima fila, a cominciare dalle nomine e dagli intrecci con l’economia e la finanza. Dico “tutta” perché anche chi è uscito dal PD denunciando i limiti di quella politica, come me e tanti altri, dando vita ad un’altra lista di sinistra, alla fine deve constatare che non è riuscito a sfuggire a quel giudizio. La parola “sinistra” viene associata, purtroppo, al vecchio sistema. Per questo penso che ci sia bisogno di una discussione più approfondita rispetto ad un dibattito che per ora resta troppo in superficie e quasi sempre fissato sulla manovra politica e sui posizionamenti dei singoli esponenti, sia guardando all’indietro che in avanti.
Ancora ieri chiacchierando con un amico e compagno di lunga data, che mi ha criticato più volte per essere uscito dal PD, la valutazione sulla sconfitta del 4 marzo ruotava tutta su affermazioni come “ma se non uscivate”, “se rimanevamo uniti”, “se non facevate la guerra a Renzi”. Tutti “se” che non spiegano assolutamente niente dei risultati elettorali. L’unica cosa che si può obiettare è perché anche noi, che avevamo intuito che una parte rilevante del mondo di sinistra era in sofferenza, non siamo stati capaci di mettere in campo una proposta in grado di recuperare quel malessere. Oltre al fatto, che ovviamente gli ho fatto notare, della generale indifferenza con cui il vertice e la base del PD hanno guardato e trattato la vicenda della cosiddetta scissione.
Ma tornando al punto del dibattito attuale resta forte l’esigenza di fare i conti seriamente con il significato del voto. Certo alcune motivazioni sono state indicate con chiarezza, soprattutto sul piano economico e sociale. I più poveri e i meno garantiti al Sud hanno votato in massa per il M5S e nel centro nord dividendo il voto tra Lega e M5S. Nel centro nord il partito di Salvini ha intercettato anche molti voti dai piccoli imprenditori, dagli artigiani e dai commercianti. Ma queste motivazioni non bastano a spiegare il terremoto elettorale. Evidentemente ci sono ragioni più profonde, legate alla cultura, alla formazione del senso comune, all’incidenza del sistema mediatico e al peso dell’immagine, soprattutto se sconnessa dal tema dell’identità dei soggetti politici, che richiedono un ragionamento, un’analisi, più attenta. Un tempo si sarebbe detto “conoscere la realtà per trasformarla”.
In queste ore, da diversi ambienti del centrosinistra, vengono proposte iniziative o parole d’ordine che segnalano la necessità di prendere atto del nuovo quadro politico e di discutere sul che fare: “sinistra anno zero”, “oltre il PD”, “un Big Bang per rifondare il centrosinistra”. Buoni propositi, anche se molto diversi fra loro, ma nel complesso sembrano ancora lontani dalle necessità. Tra questi anche il silenzio che regna dalle parti dei vertici di Liberi e Uguali.
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