Sono ore difficili. Gli umori tra i deputati del PD non sono affatto buoni. Prevalgono le evidenti preoccupazioni per il rischio incombente di rottura nell’Assemblea Nazionale convocata per domenica prossima. Dopo la spaccatura avvenuta nella Direzione di lunedì il clima si è radicalizzato e chi ha in mano le redini non si è preoccupato per nulla di attivare un minimo di dialogo. Ci ha provato il Ministro Orlando ma, finora, con scarsi risultati. Il Segretario Matteo Renzi ha enfatizzato sul suo blog il voto della Direzione: 107 a suo favore, 12 contrari e 5 astensioni. Totale 124 su 195 componenti dell’organismo. È strano che nessuno si sia soffermato sulle 71 “diserzioni” dal voto. Sarebbe il mestiere dei giornalisti, ma tant’è… Tuttavia il problema è del tutto politico. È chiaro che è saltato del tutto il rapporto di fiducia e che non vi è per adesso la volontà di tentare una mediazione di ricucitura. La decisione dei tre possibili candidati di sinistra, alternativi a Renzi (Emiliano, Rossi e Speranza), di confluire in una iniziativa comune promossa per sabato a Roma, alla vigilia dell’Assemblea Nazionale, ha il significato di chiedere al Segretario un ripensamento rispetto alla forzatura dei tempi congressuali imposta nella Direzione, che non è un problema i date ma di attivazione di un reale percorso di confronto sui temi e le politiche con cui affrontare la nuova fase politica, sul piano nazionale e internazionale. Per evitare di ridurre ogni cosa ad una conta sulle persone. L’attesa è sulla risposta, che questa volta è destinata a produrre effetti importanti, in un senso o in altro.
Comunque che nel PD ci sia una certa confusione risulta evidente. Ieri sera si è tenuta la riunione del gruppo parlamentare sulla questione della legge elettorale, che dovrebbe arrivare in Aula il 27 febbraio prossimo, su nostra richiesta. Si parte dalla proposta del ritorno al Mattarellum che abbiamo avanzato unitariamente un mese fa, ma si dice che sarà difficile trovare un accordo e una maggioranza con le altre forze politiche. E subito c’è chi spinge per un accordo al ribasso, rinunciando ai punti più sentiti e qualificanti presenti nella nostra discussione. In particolare sui collegi uninominali, che consentono di superare le preferenze e i nominati. Per questo una sessantina di deputati hanno presentato un ordine del giorno finalizzato a fissare qualche punto fermo, nella posizione del PD, proprio su questo tema. Lo ha illustrato Enzo Lattuca, il più giovane deputato del gruppo, argomentando come il dispositivo che si proponeva era pienamente il linea con le posizioni del partito e con i testi dei disegni di legge depositati dalla maggioranza dei nostri parlamentari. In sostanza diceva che il PD si impegna per i collegi uninominali e che in ogni caso era per il superamento dei capilista bloccati. Ebbene, la posizione che è passata è stata quella di non mettere in votazione l’o.d.g. perché “irrigidisce il confronto” con gli altri. E questo dopo che nel dibattito è emersa come posizione realistica quella di chi sostiene che l’unica cosa che si può fare è omogeneizzare le norme tra Camera e Senato, portando la previsione del premio di maggioranza dalla lista, com’è adesso, alla coalizione, mentre non si possono togliere i capilista bloccati che piacciono a tutti i capi partito. È chiaro che non ci siamo! Ma la fretta di arrivare alle elezioni anticipate fa premio su tutto. Anche questo è un aspetto che pesa nella vicenda congressuale.
Nessun Commento