Giornata romana per risolvere alcuni problemi amministrativi personali e per due impegni politici. Alla Camera c’era la seduta congiunta con il Senato per le votazioni per i componenti della Corte Costituzionale. Il “Transatlantico” era pieno di parlamentari radunati in gruppi. Tante facce nuove rispetto alla passata legislatura. Tante chiacchiere, con l’ausilio di uno stuolo di giornalisti, sulle consultazioni e sulle mosse di queste ore con una miriade di ipotesi e di previsioni da fare invidia al totocalcio. Ho preso un caffè con Roberto Speranza e me la sono squagliata. Tuttavia ho fatto in tempo a parlare con alcuni consiglieri e capiservizio della Camera e ho recepito che il clima non è dei migliori: alla grande incertezza sulla formazione di una maggioranza di Governo si accompagna l’impressione di una gestione istituzionale troppo segnata dalla faciloneria propagandistica e demagogica. Ho constatato un certo distacco dalla discussione seria e approfondita che si è tenuta martedì nel seminario sul funzionamento delle istituzioni parlamentari promosso dalla Scuola Sant’Anna. Vedremo nelle prossime settimane se quel clima cambierà.
Allo stesso tempo, con l’ausilio di alcuni documentati articoli apparsi negli ultimi giorni, mi sono tornate in mente il clima e le discussioni di cinque anni fa, quando furono affossate le candidature alla Presidenza della Repubblica di Franco Marini e di Romano Prodi. In particolare l’ondata di indignazione che si alzò sulla bocciatura di Prodi ordita da 101 franchi tiratori nelle fila del PD. Che poi in realtà furono almeno 120. Quella grave vicenda aprì la strada nel senso comune di tanti militanti alla richiesta di rinnovamento e di rottamazione che portò all’elezione di Renzi come segretario del PD. Fu saltata del tutto, a cominciare dal sistema mediatico, la riflessione sul vero obbiettivo di quel voto che era, appunto, quello di provocare le dimissioni di Bersani. E così avvenne anche nella base del partito. Però con il tempo le cose tornano a galla e, come hanno ricordato e scritto diversi protagonisti e commentatori, la verità di quella storia va cercata innanzitutto tra coloro che avevano interesse a far fuori Bersani e hanno utilizzato Prodi per questo. In tanti, troppi, allora non vollero vedere e capire. Il PD di oggi è anche il risultato del processo che iniziò con quella vicenda.
Quanto alle parole che tornano nel dibattito attuale e che hanno avuto un peso determinante nella cultura politica della sinistra nell’ultimo ventennio, una valutazione specifica mi sembrerebbe opportuna. Mi riferisco al tema della “responsabilità verso il Paese” con cui sono state motivate situazioni particolari come Governi di emergenza o del Presidente, comunque fondati su alleanze disomogenee, incoerenti con il bipolarismo auspicato. E non si tratta solo del Governo Monti. Ecco, a mio parere è giunto il momento di riflettere su questa parola, responsabilità, applicata alla governabilità; perché l’interesse generale del Paese, inteso in primo luogo come tutela dei più deboli, non sta più in quella dimensione. I fatti, ovvero i processi materiali reali che si sono sviluppati nel decennio della crisi, dimostrano che le condizioni di reddito e di vita dei lavoratori, dei ceti più bassi, dei giovani, sono sensibilmente peggiorate. E ciò ha inciso non poco nella credibilità delle istituzioni e nei mutamenti degli orientamenti elettorali. Forse è il caso di pensare che gli interessi generali o nazionali devono essere valutati e sostenuti soprattutto sulla volontà e capacità di rispondere ai bisogni dei ceti popolari. Quindi attenzione a ritrovarsi ancora una volta sotto l’influenza acritica del richiamo alla responsabilità. Cosa che aleggia già nel dibattito politico sulla ricerca di una soluzione di governo, anche dalle nostre parti.
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