Si apre la settimana dell’attesa. Per domani è annunciata la pronuncia della Consulta sulla legge elettorale da cui dipendono le scelte politiche italiane per i prossimi mesi. Intanto in Francia e in Germania si preparano elezioni politiche cariche di incertezza e di timori. Nel mondo sale la preoccupazione per le prime dichiarazioni di Trump da Presidente Usa. Grillo parla della bontà di avere uomini forti al governo dei Paesi più potenti del pianeta. Le parole in voga sono “populismo, protezionismo e nazionalismo” e fanno tornare in mente fasi della storia assai nefaste e buie per l’Europa e il mondo. Come è evidente di cose su cui ragionare e discutere sul piano politico ce ne sono in abbondanza e una forza politica che crede nella partecipazione dovrebbe dare una risposta a questo bisogno di confronto. Sul piano generale come su quello locale. Mi riferisco al PD che, tra l’altro, non ha fin ora dato vita a nessuna riflessione approfondita sulle sconfitte delle elezioni amministrative prima e del referendum poi. Per questo serviva e serve un congresso. Dico serve perché anche se è programmato per la scadenza naturale del prossimo autunno, il percorso dovrebbe iniziare molto prima, soprattutto se si punta a ricostruire un forte rapporto con la società e i territori.
A Pisa, in ragione della necessità di riorganizzare il gruppo dirigente, a partire dal segretario provinciale che ha dichiarato le dimissioni, era stata annunciata la possibilità di fare ricorso al congresso come veicolo di coinvolgimento di tutto il partito, a cominciare dagli iscritti. Cosa che avrebbe permesso di avviare una discussione larga, con l’impegno di tutti i circoli. Ora il Partito regionale fa marcia indietro e dice che non si può. Sembra quasi che nel PD sia proibito far discutere la base. Si afferma che prima si deve trovare l’unità ed una figura condivisa che faccia il coordinatore di transizione, come se le difficoltà della federazione pisana dipendessero dalle divisioni. In realtà la segreteria provinciale di Alessio Lari era stata scelta e votata unitariamente. Semmai è il modo di dirigere del gruppo dirigente locale e regionale, non proprio unitario e che ha portato a risultati non lusinghieri, la causa delle difficoltà e delle sconfitte. Allora la cosa migliore da fare sarebbe riflettere su questi limiti attivando un dibattito ampio, promuovendo le assemblee dei circoli. Invece si preferisce la via degli accordi fra i “capicorrente”. Tuttavia, se non si fa il congresso, lo statuto prevede la sostituzione di un segretario dimissionario attraverso l’elezione nell’Assemblea Provinciale. Come accadde in occasione delle dimissioni di Francesco Nocchi. Dunque, il minimo che si possa fare, è andare al più presto in quella sede per trovare una soluzione, sperando che almeno un dibattito sulla situazione politica sia possibile.
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