Mentre scrivo mi raggiungono i risultati dei ballottaggi. Il primo è di grande soddisfazione: abbiamo vinto a Pietrasanta e torniamo alla guida del Comune dopo dieci anni. Una bella conferma per la Toscana. Poi ho saputo delle conferme, come centrosinistra, alla guida dei Comuni di Macerata e Matera e delle sconfitte a Mantova e Vibo Valentia. Per Mantova è un grande dispiacere perché era una delle ultime roccaforti in Lombardia. Eppure il voto alle liste di centrosinistra è ancora maggioritario e al primo turno era emerso lo scarto negativo del candidato sindaco, peraltro in carica, rispetto alla coalizione. Fatti come questo fanno riflettere. Anche a Matera abbiamo sofferto e vinto di poco perché, mi dicono, il candidato era sbagliato, individuato sulla base degli equilibri interni al Pd e mentre al primo turno il centrosinistra ha superato alla grande il 55% lui è arrivato al 49%. Ora ce l’abbiamo fatta per 150 voti. Nel caso di Mantova la ragione principale, a detta di tanti, è il carattere del sindaco uscente Fiorenza Brioni che anziché cucire i rapporti produceva strappi. Ed evidentemente non è bastata la cura della comunicazione per recuperare i rapporti.
Tutto questo ci richiama all’importanza di quanto avevamo commentato anche in occasione dei risultati regionali e in particolare di quelli della Lega. Non dimentichiamoci mai che il legame con il territorio e la capacità di mantenere ampi contatti con i cittadini sono le condizioni fondamentali per esercitare in modo credibile l’azione di governo nelle realtà locali. E la forte crescita dell’area del non-voto rafforza ancora di più questa preoccupazione. In proposito, anche per proseguire l’approfondimento su questo tema, segnalo (in allegato) l’articolo di Ilvo Diamanti su Repubblica di stamani.
Sicuramente il Pd ha pagato nelle regionali un prezzo alto all’astensionismo. Ma la lettura di questo fenomeno è più complessa delle semplificazioni fatte ad uso di battaglia politica. Io non credo che si siamo astenuti tanti di quelli che pensano, come dice Francesca, “che scendiamo a patti con i mascalzoni”. Quelli semmai hanno votato per Di Pietro. Certo vi è indubbiamente anche chi ha deciso di non votare per delusione o per critica per una nostra presunta timidezza nel fare opposizione. Ma il grosso del problema non sta qui. Penso invece che la questione principale sia nella mancanza di una alternativa credibile e possibile, capace di rappresentare anche una visione della società e un progetto per il futuro. Un progetto di reale cambiamento in termini di miglioramento delle condizioni di vita, di effettiva efficienza del sistema democratico, di garanzie di equità e di pari opportunità senza il condizionamento dei corporativismi e dei privilegi, di valorizzazione del merito in contesto di lotta alle diseguaglianze. Forse una cosa così sarebbe in grado di rimotivare gran parte degli astensionisti provenienti dal centrosinistra e anche tanti giovani presi dallo scetticismo che “tanto niente cambierà”. Non so se assomiglia a quel “qualcosa di forte” che chiede Gregorio. Però non sarei sicuro di dire, visto anche ciò che ho scritto sul peso di certi fattori economici -come l’evasione fisclae- nella mentalità comune, che un simile progetto troverebbe con certezza la maggioranza dei consensi degli italiani. Cioè non so se basterebbe a scalzare “l’Italia dei furbi”, che rappresenta il robusto retroterra del consenso berlusconiano. Anche perché di furbi ce ne sono tanti anche a sinistra, a partire da quelli che proclamano la lotta alla illegalità e poi invece, in vario modo, la praticano. Sarebbe utile discuterne. In fondo è quanto intendevo dire che ora non ci sono più alibi: abbiamo davanti tre anni senza l’affanno di doverci preoccupare prioritariamente del consenso elettorale. E ci può essere lo spazio per ragionare più a fondo sui caratteri della società italiana e sulle idee per cambiarla, renderla migliore e più giusta. In tal senso iniziative come quella dei referendum servono a poco. Anzi, non solo comportano il rischio di effetto boomerang sul punto del quorum, ma fanno immediatamente il gioco di Berlusconi. Quello di tenerci inchiodati a discutere di giustizia e di lui. Ma tutto questo ha bisogno comunque di un soggetto promotore. Speriamo che il Pd non si faccia risucchiare da una discussione pseudo-congressuale su se stesso, come molti vorrebbero. Semmai mettiamoci davvero a costruire un partito radicato nella società e nel territorio, meno attento agli equilibri, alle correnti e all’immagine (compreso quella del concorso “facce nuove”) e più vicino ai problemi del mondo del lavori, con le sue aspettative, e a quello delle comunità locali.
4 Commenti
Ho appena finito sul treno la lettura dei giornali. La notizia che ho cercato subito era quella sulle elezioni di Pietrasanta. Tanto per incominciare con un po’ di buonumore. Ieri sera mi sono congratulato telefonicamente con il nuovo sindaco, Domenico Lombardi, che avevo conosciuto in una iniziativa di alcune settimane fa, a sostegno del Pd e della sua candidatura. E’ un medico che trasmette una sensazione di serenità e pacatezza. Ribadisco anche qui i più grandi unguri di buon lavoroa lui e alla nuova amministrazione. E colgo l’occasione per segnalare due contributi di umorismo quotiano presenti su Repubblica di oggi: la vignetta di Ellekappa e il “Bonsai” di Sebastiano Messina (negli allegati).
Caro Paolo, sono in linea con te nel ritenere improrogabile la costruzione di un partito radicato nella società; già in precedenza ho espresso tale opinione proprio su questo blog. Facciamo un progetto quindi, ma, soprattutto, facciamo un programma conseguente. Vorrei poi tornare un attimo al tuo taccuino dell’8 aprile e dire due parole sulla rubrica di Gramellini.
Quanto scrive è di grande crudezza, direi che è un intervento spietato. La politica non rende gli uomini migliori, occorre guardare nel fondo di noi stessi. E lo facciamo sempre meno. Siamo disabituati all’introspezione, all’autocritica, forse perchè l’obiettivo prevalente è quello di essere vincenti, infallibili. Ci costa riconoscere gli errori commessi, fermarsi a pensare, a capire le motivazioni reali dei nostri comportamenti, ammettere limiti e fragilità. Si rimane alla superficie, è più facile identificarsi col modello dominante. Mentre invece, a parer mio, la conoscenza di se stessi, di socratica memoria, è importante per cambiare in meglio, per comprendere gli altri e, conseguentemente, per arrivare alla politica già con un patrimonio di umanesimo che può rendere la stessa politica migliore. La conoscenza di se stessi e degli altri e lo stare con gli altri può anche allontanare, ridimensionare la paura che ci assilla in varie forme. Paura che “C’è sempre stata – riflette Salvatores ( riferendosi al suo ultimo film Happy Family ) – ma oggi ne siamo pieni. E quando non ce l’abbiamo, ce la inducono. L’unico antidoto è quello che mostro nel film: guardarci in faccia, parlarci. La vicinanza tra le persone, anche diverse da noi. Avere fiducia, insomma: anche se c’è chi, nel nostro Paese, di fiducia ne usa fin troppa, in Parlamento”.
Paola
giusto; intanto, Franceschini D’Alema e Bersani litigano a mezzo stampa sull’interpretazione della lite Fini-Berlusconi, dopo aver litigato su quella dei ballottaggi……
il PD voto contro la conversione del decreto salva liste. Il governo presenta una “leggina” salva decreto bocciato ed il PD vota a favore. Come si spiega ????
16 aprile 2010 – MArco Travaglio – il Fatto
Il Pd manifesta in piazza contro il decreto salva-liste, riesce a farlo cadere in Parlamento, ma poi fa marcia indietro. E vota una legge che lo ripesca con Pdl e Lega. L’opposizione che si oppone dura meno di 24 ore.
Siore e siori, sempre più difficile! Pur di non opporsi, l’opposizione all’italiana chiamata Pd s’è prodotta ieri in un triplo salto mortale carpiato con avvitamento e scappellamento a destra, un numero mai riuscito né provato prima d’ora. Ricordate il decreto salva-liste che sanava ex post le illegalità nella presentazione delle liste Pdl a Milano e Roma? Bene, era illegale, incostituzionale e inutile. Illegale perché una legge del 1988 vieta i decreti in materia elettorale (onde evitare il rischio che si voti con una regola e poi, se il decreto non viene convertito in legge, quella regola decada dopo il voto e si debba tornare alle urne). Incostituzionale perché sanava solo le irregolarità di alcune liste e non di altre e perché cambiava le regole del gioco a partita iniziata. Inutile perché modificava per via parlamentare una legge regionale. Incuranti di questi dettagliucci, i presidenti del Consiglio e della Repubblica lo firmarono a piè fermo. Il Pd gridò allo scandalo (ma solo per la firma di Berlusconi: quella di Napolitano era ottima e abbondante), annunciò la fine del “dialogo sulle riforme”, portò la gente in piazza del Popolo a protestare contro l’atto eversivo.
Motivazione ufficiale, fremente di sdegno: “Se il governo indossa gli anfibi e scende in piazza con attacchi violenti contro le istituzioni, noi non restiamo certo in pantofole”. Qualcuno, chiedendo scusa alle signore, parlò financo di regime. Non contenti, due giorni fa i piddini organizzarono un’imboscata per affossare il decreto alla Camera, bocciandone la conversione in legge grazie alle consuete assenze nella maggioranza e alle inconsuete presenze nell’opposizione. Un miracolo mai accaduto prima: l’opposizione più stracciacula della storia dell’umanità riesce a mandar sotto il governo, senza sopperire con le proprie assenze – come invece era accaduto sulla mozione anti-Cosentino e sullo scudo fiscale – a quelle endemiche del centrodestra. Ma niente paura: l’illusione di un’opposizione che si oppone è durata l’espace d’un matin.
Ieri il Pd, sgomento per l’inatteso e involontario successo, s’è subito pentito. Ha riposto gli anfibi, ha recuperato le pantofole di peluche ed è tornato al suo passatempo preferito: l’inciucio. Tenetevi forte, perché la notizia è grandiosa: onde evitare di invalidare le elezioni regionali appena tenute in base al decreto ormai defunto, la maggioranza più comica della storia ha presentato in fretta e furia una leggina per salvare gli effetti del decreto medesimo, ribattezzata dai magliari di Palazzo Chigi “legge salva-effetti”, e sbrogliare il gran casino creato dal Banana con la partecipazione straordinaria di Napolitano.
Così il decreto, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra in meno di 24 ore. A quel punto qualunque persona sana di mente avrebbe mantenuto le posizioni di partenza: la maggioranza pro-decreto avrebbe detto sì alla salva-effetti, l’opposizione anti-decreto avrebbe detto no. E infatti l’Idv ha detto no e perfino l’Api di Rutelli s’è astenuta. Indovinate come ha votato il Pd? A favore (a parte Furio Colombo e poche altre persone serie), a braccetto col Pdl e la Lega. Ne saranno felici le migliaia di persone che si erano fatte convincere a calzare gli anfibi e a scendere in piazza del Popolo contro “l’attacco violento alle istituzioni”.
Era tutto uno scherzo. Il Pd era contro il decreto, ma non contro i suoi effetti. Tant’è che ieri ha contribuito a ripescarli. Un voto del tutto inutile, vista la maggioranza bulgara Pdl-Lega, ma comunque indicativo dell’amorevole trepidazione con cui i diversamente concordi del Pd seguono le porcate del Banana. Lui li insulta e loro lo salvano anche se lui non vuole. Per questo sbaglia il capogruppo dell’Idv Massimo Donadi quando afferma che non si tratta comunque di inciucio “perché il Pd non ha avuto nulla in cambio”. Gli inciuci dei centrosinistri col Banana sono sempre a senso unico: lui ci guadagna, quelli ci perdono. E’ un do ut des senza des. Ma quelli continuano. Si divertono così.