Non so l'evoluzione odierna della situazione pugliese in ordine alla questione candidature per la presidenza della Regione. Anch'io, come molti, credo che si siano fatti molti errori in queste ultime settimane. Primo fra tutti quello di partire dall'idea di evitare le primarie. Un esito del genere è certo possibile, ma solo se è un punto di arrivo e non di partenza. In Toscana non si lamenta nessuno del fatto che sul Presidente non si sono fatte, perché è logico che se c'è una convergenza unanime, nel partito e nella coalizione, su un solo candidato non c'è motivo di discussione. E anzi oggi, da noi, questo esito rende la candidatura ancora più forte perché si fonda sul riconoscimento di un lavoro e di una esperienza positivi e concreti. Ma se come avviene in Puglia non c'è un'intesa non vedo come si possa tenere in sospeso la via delle primarie, anche nel quadro di un confronto politico che deve porsi necessariamente l'obbiettivo dell'ampliamento dell'alleanza verso l'Udc. Dunque concordo con tante delle perplessità e critiche che in questi giorni si leggono o si sentono anche nel Pd.
Però c'è un interrogativo sul quale poco ci si sofferma e che invece dovrebbe essere il punto di avvio del ragionamento per guardare alla scadenza elettorale. L'interrogativo è quello del perché nel giudizio dei pugliesi, così risulta dai commenti e non solo dai sondaggi, i cinque anni di governo di Vendola non sono considerati positivamente? Perché si dice che è stata una giunta poco incisiva, che è affogata nel quotidiano e non si è distinta nel buongoverno? Forse era questa l'analisi da cui si doveva muovere prima ancora di ragionare di sigle, di persone e di coalizioni. Io non so dire con certezza quale sia la situazione reale e non mi piacciono le battute che semplificano tutto, però so che se un'amministrazione ha lavorato bene e ha il consenso dei cittadini è assai difficile metterla in discussione.
Per tornare a noi ho letto il breve commento sul blog di Francesca. Il suggerimento è condivisibile ed è nello spirito del federalismo, ma non è applicabile perché ad oggi la tassa di scopo regionale non è possibile. Tuttavia il ragionamento sull'importanza delle tasse è importante in tempi dominati dalla loro demonizzazione e dalla conseguente premiazione dell'evasione e della esportazione illecita di capitali. Questo spunto è giunto in concomitanza con un bell'articolo di Tito Boeri su Repubblica di ieri, intitolato "Una tassa sul privilegio" (in allegato). Consiglio di leggerlo: è chiaro e ben argomentato e il contenuto è ben sintetizzato dal titolo. A questa lettura vi propongo di accompagnare l'articolo di oggi, sul Corriere della Sera, di Mario Sensini (in allegato) sugli stipendi degli italiani in confronto agli altri Paese dell'Ocse. Da tutto ciò si evince che, in un mondo che ha visto non diminuire ma crescere le diseguaglianze, e in modo ancora più accentuato in una fase di crisi, la strada maestra per mantenere un certo equilibrio, per fare una politica dei redditi concreta improntata all'equità, è quella di garantire la progressività del prelievo fiscale. Che ne dite ? E' una buona discussione ?
5 Commenti
Ho avuto giusto poco fa una discussione con il mio edicolante, che ha amici pugliesi. Non capiva perche` il PD non sostenesse Vendola che aveva, secondo lui, il sostegno dei pugliesi. Ho detto che chi non voleva Vendola erano Di Pietro e l’UDC, e che sarebbe stato difficile trovare una persona cosi` generosa da candidarsi alle primarie con lui pensando di perdere. Ora scopro che non si farebbero le primarie. Ma allora perche` le abbiamo introdotte? Le primarie chiudono la bocca alle varie mosche cocchiere e motivano le persone a votare. Se poi c’e’ come dici tu parecchia gente che non e` contenta dell’operato della giunta, a piu` forte ragione ci vogliono le primarie, no?
Ho letto l’articolo di Boeri e mi trova assolutamente d’accordo. Mi pare anche che la progressivita` fiscale sia prevista dalla Costituzione. Ma qualunque discussione sulla “moralita`” del fisco e sulla trasparenza che sarebbe necessaria su come viene utilizzato il prelievo fiscale (ivi compresi 8 e 5 per mille) per me e` la benvenuta.
Sulla Puglia, non ho parole, mi sembra un disastro; sulle tasse, in appoggio alla necessità di una riforma fiscale, segnalo e riporto il bell’articolo di Alessandro Volpi :
“I dati dell’Agenzia delle entrate sulle dichiarazioni dei redditi degli italiani mettono in risalto alcuni elementi di grande rilievo. In primo luogo emerge un forte squilibrio nella distribuzione della ricchezza che conferma un tratto della società italiana: il 4,4% dei contribuenti, quello con un reddito dichiarato superiore ai 50mila euro, possiede il 21,3% della ricchezza denunciata al fisco. Nel complesso, un terzo dei contribuenti detiene oltre il 65% dei redditi mentre l’imponibile medio dichiarato ai fini Ire è pari a 19.100 euro con un leggero incremento del 3% rispetto all’anno precedente. La ricchezza dunque continua ad essere molto polarizzata e si riduce il potere d’acquisto della gran parte degli italiani; fatto pari a 100 il valore di riferimento nella media dei 27 paesi dell’Unione europea, il potere d’acquisto degli italiani è sceso da quasi 118 nel 2002 all’attuale 102. Proprio il dato complessivo della ricchezza dichiarata, circa 784 miliardi, meno della metà del Pil italiano, consente però di cogliere il secondo elemento palmare costituito dalla grossa fetta di evasione fiscale e di lavoro nero che caratterizza il nostro paese. Al di là degli indubbi effetti di impoverimento scatenati dalla crisi, appare difficile credere infatti che quasi la metà dei contribuenti italiani guadagni meno di 15mila euro lordi. Di questi circa 20 milioni di contribuenti, peraltro, ben 10milioni hanno dichiarato meno di 7500 euro annui e se alla fascia fino a 15mila euro di reddito si aggiunge quella tra 15 e 20mila euro si devono conteggiare altri 7 milioni e 255mila contribuenti; in sintesi 27 milioni sul totale di 41 milioni di contribuenti. Si tratta di valori da paese povero che sono solo in parte compensati da una ricchezza netta pro capite tra beni reali e finanziari di quasi 140mila euro. Tanti pensionati e lavoratori dipendenti a basso reddito, molta evasione e poco più di 600 mila persone che possiedono una larghissima fetta del reddito nazionale; questa l’immagine che si ricava dal report dell’Agenzia delle Entrate. C’è, tuttavia, un dato ancora più significativo e che impone una impellente riflessione. Il 10% dei contribuenti italiani paga da solo oltre la metà delle tasse e delle imposte che esistono in Italia: un dato estremamente preoccupante se si considera che tale 10% è costituito in buona misura da lavoratori dipendenti colpiti proprio sul versante del reddito da lavoro. In altre parole, non è la progressività dell’imposizione – il fatto cioè che i redditi più alti siano tassati in maniera più che proporzionale alla ricchezza – a garantire il gettito quanto l’imposizione su alcune fasce sociali rispetto alle quali, come nel caso dei lavoratori dipendenti, il prelievo è certo. Il sistema fiscale italiano si compone di oltre 100 tasse, ma l’85% del gettito complessivo proviene da sole sette imposte e la modulazione delle aliquote non favorisce certo le fasce di reddito medio basse in particolare dei lavoratori dipendenti. In tali condizioni il fisco non riesce a svolgere né una reale funzione di redistribuzione della ricchezza né una concreta azione di rilancio dei consumi. Questo dipende in gran parte dal fatto che si tratta di un sistema impositivo disegnato fra l’inizio degli anni Settanta e la metà degli anni Novanta e pensato per un paese diverso. Oggi esistono 8 milioni di partite iva, i salari compongono meno del 20% del Pil, il mercato del lavoro si è velocemente frammentato e le forme elusive si sono ampliate in maniera vistosa. Serve dunque una riforma; il ministro Tremonti sostiene che essa debba realizzarsi spostando il carico dalle persone alle cose, dal centro alla periferia e semplificando i tributi. Sono ipotesi da vagliare con attenzione, soprattutto in relazione alle ricadute reali che possono produrre: intanto si potrebbe pensare, pur nel rispetto del rigore dei conti pubblici, a tornare ad utilizzare lo strumento delle detrazioni, certo più equo delle misure di natura generale come l’abolizione dell’Ici prima casa a tutti, e ad accantonare definitivamente il fiscal drag, mai restituito ai lavoratori”.
PS. Non c’entra nulla, ma qualcuno lo dice che la battuta della iperacclamata Serracchiani, che vuole regalare il souvenir della Mole Antonelliana a Berlusconi, è una battuta del cazzo?
Comincio io; ringraziando il cielo che ha evitato la Torre di Pisa, la sciagurata
Siamo agli inizi di un nuovo anno che, sapevamo da tempo, si sarebbe presentato, per la continuità col precedente, estremamente difficile sul piano politico, economico e sociale e che, pertanto, avrebbe richiesto un grosso impegno per affrontare i problemi che attanagliano il Paese.
Il PD, dopo l’elezione a segretario di Bersani, avrebbe dovuto dare inizio ad un nuovo corso, voltare pagina e lavorare per un’Italia più giusta, più efficiente, più moderna, più libera e realmente unita. Così, se non ricordo male, si esprimeva Bersani nella sua mozione, con la quale sottolineava inoltre la necessità che il PD avesse un’ identità politica e culturale, tornasse a radicarsi nel tessuto sociale, si desse un’organizzazione tale in modo che non ci fosse un centro che stabilisce e una periferia che obbedisce, bensì un equilibrio virtuoso tra i diversi livelli decisionali ed una condivisione delle scelte; un partito popolare che si muovesse secondo i principi di uguaglianza e di laicità, attento ai problemi delle fasce più deboli. Mi fermo qui, ha ragione Michele Serra nel suo articolo su Repubblica di oggi, in cui afferma che sparare sul PD è così facile da essere ingenerosi. Lungi da me l’idea di sparare, ma la rabbia e la delusione sono profonde e dolorose. Vorrei capire perché in questi mesi, dopo le primarie, ci siamo annodati in un’ infinita discussione istituzionale e non abbiamo convogliato e concentrato le forze sui problemi reali del Paese, a cominciare da quello drammatico del lavoro. Sono consapevole del fatto che la costruzione delle alleanze ( che comunque avrebbero dovuto essere programmatiche ) richiede impegno e tempo adeguati all’obiettivo di realizzare un ampio fronte di opposizione al governo e nel contempo di alternativa sulla base di programmi condivisi, ma non posso ignorare che l’inattività di questi mesi e la mancanza di iniziative incisive e continuative sul territorio per essere vicini a tutti i cittadini, in particolare a quelli che vedono ininterrottamente venir meno le risorse per far fronte alle esigenze quotidiane di vita, sia stata distruttiva per le aspettative di moltissime persone che sono rimaste sole a gestire i propri problemi con quell’incertezza e quella paura del futuro che, non dimentichiamoci, sono purtroppo terreno fertile per forme di individualismo poco rispettose delle regole del vivere sociale. Ed ora si deve inevitabilmente prendere atto che il tempo dedicato alla realizzazione delle alleanze ( e sottratto al rapporto con i cittadini ) non ha dato i frutti desiderati, anzi ha aumentato il la debolezza e, conseguentemente, il disorientamento ( mi domando come si possano accettare le condizioni di Casini anche solo in relazione alle primarie della Puglia ). Come tanti, anch’io avverto una situazione drammatica, una confusione dilagante, un inquietante vuoto di indirizzi politici. Caro Paolo, io credo che non possa esserci ancora, per dirla con Fossati, “ un tempo d’aspetto”, ma penso che si debba agire senza indugi, superando, una volta per tutte, il difetto dell’autoreferenzialità. Che ne dici ?
Paola
La sinistra italiana è impotente, priva di una ideologia in grado di guidare il Paese fuori dal pantano del neoliberismo. È una realtà apparsa del tutto chiara sia nello scorso giugno in occasione del rovescio elettorale del PD, sia all’epoca della storica sconfitta del 1994 quando Berlusconi conquistò il potere per la prima volta. Molti italiani sono consapevoli di assistere all’inesorabile declino, se non alla morte della sinistra. Nemmeno a dire che la sinistra si sia logorata per i troppi anni passati al potere o che il suo declino possa essere considerato il risultato dell’evoluzione della società. La crisi va attribuita all’incapacità della sinistra di comunicare, programmare e costruire.
È questa la ragione per cui la sonora sconfitta subita nel 2008 dal PD è stata più morale che politica. Gli elettori del centro sinistra hanno capito che il partito aveva smarrito la strada. Se tutto quel che aveva da offrire erano un trito appello all’antiberlusconismo, tanto valeva votare per l’originale piuttosto che per la copia, per Di Pietro piuttosto che per Veltroni/Franceschini.
Ho sin qui semplicemente sostituito, scambiando, date, luoghi e nomi ad un bellissimo articolo sulla situazione del partito laburista israeliano, recentemente scritto da un noto intellettuale e storico, traslandolo nella nostra realtà italiana. Ho cercato di visualizzare, sovrapponendoli, due contesti lontani e diversi ma, purtroppo, con le medesime criticità storiche della politica riformista e la prospettiva, poco edificante, di un domani senza speranza. Chiudo, quindi, questo breve intervento con la sintesi originale dell’autore: “Resta un problema che colpisce i partiti socialdemocratici europei: la mancanza di una guida politica dotata di una visione. L’assenza di idee e statisti nei partiti di sinistra non fa prevedere un radioso futuro.” (Z. Sternhell)