In queste ore il centro dell'attenzione del Pd, a Roma e non solo, è rivolto verso l'assemblea nazionale di sabato prossimo e sulle prime proposte di Bersani per l'assetto del nuovo gruppo dirigente. La notizia di un possibile impegno di Dario Franceschini come Presidente del gruppo alla Camera dei Deputati la considero molto positiva su quella linea di "gestione plurale" del partito annunciata dal nuovo segretario pochi giorni fa. Credo che si debba procedere con questo spirito unitario senza aprire la strada a ragionamenti o accordi che presuppongono la istituzionalizzazione di correnti. Certo il voto del congresso e delle primarie ha detto che c'è una maggioranza che deve assumersi le responsabilità e deve quindi portarle avanti creando le condizioni per un impegno largamente unitario, ma senza condizionamenti impropri.
Anche in Toscana c'è molta fibrillazione, prodotta dalla indizione delle primarie per la scelta del candidato Presidente e dei consiglieri regionali nella giornata del 13 dicembre. I tempi sono assai ravvicinati e le liste devono essere pronte per il 22 novembre. Spero, come hanno esplicitamente richiesto anche i documenti approvati al congresso provinciale, che ci sia una competizione aperta e leale fra più candidati. Per il Presidente si parla già da tempo di più nomi. La mia opinione era ed è quella che una eccessiva priliferazione non sarebbe positiva. Ma questo rischio è sostanzialmente eliminato dalla legge regionale che mette un tetto: più di tre non è possibile. Due sarebbe la soluzione migliore. Un solo candidato sarebbe invece la contraddizione più evidente di ciò che è stato sostenuto in molti congressi in merito alla scelta delle primarie come fattore di apertura e di rinnovamento del partito. Sui nomi fatti, non è un mistero che la mia preferenza sia per Enrico Rossi. Credo che in base alla sua esperienza di governo, comunale e regionale, e alla sua intelligenza politica sia la candidatura più forte per aprire una fase nuova nell'azione della Regione Toscana. Il fatto che è espressione del nostro territorio c'entra, certamente, ma non è l'aspetto determinante. La cosa che più conta è la conoscenza e la capacità per dirigere un governo complesso come quello della Toscana. Per la realtà pisana è solo una opportunità in più. Ma non è poco.
Infine due parole sul commento di Giuseppe Marcocci all'ultimo taccuino. Capisco il punto di vista sulle politiche dell'accoglienza, comune anche molti altri elettori di centrosinistra, e che stava pure alla base del ragionamento di Fioravanti e Floriani. Contiene sicuramente un approccio solidaristico giusto e irrinunciabile sul piano generale. Anche perché, come dimostrano anche le vicende nazionali, senza una reale politica dell'integrazione non è possibile una efficace lotta alla immigrazione clandestina. Tuttavia a Pisa vi è una situazione specifica che non possiamo trascurare: una presenza eccessiva di Rom rispetto ad altre città e territori. Con il progetto "città sottili" avevamo stabilito che Pisa si facesse carico di stabilizzare e integrare quasi cinquecento rom. Tutti quelli che allora erano presenti nei campi, regolari e abusivi, del nostro territorio. Quell'intervento doveva portare al blocco di nuovi flussi. Così non è stato, anzi… Tanto che i nuovi arrivi, con nuovi insediamenti abusivi, hanno messo in discussione anche la credibilità e la sostenibilità di quel progetto che aveva avuto tanti apprezzamenti, proprio per la sfida integrativa che si poneva. Ed è per questo che il Comune si trova oggi in difficoltà e deve rispondere ad una pressione che si è fatta più forte. In questo senso non ritengo condivisibile una contrapposizione fra la "mia" amministrazione e quella di Marco Filippeschi. Sono dell'opinione che ci troviamo, su questi temi, in un campo assai difficile, disseminato di contraddizioni, sia sul piano delle sensibilità che su quello dei bisogni, che si intreccia, volenti o nolenti, anche con il problema del consenso. Non tanto quello elettorale quanto quello della comprensione e collaborazione quotidiana che chiama in causa il tema della convivenza in una città o in un quartiere. Su questo piano ci sono esperienze diverse in Italia. Una in cui il sindaco veniva presentato come uno sceriffo era quella di Padova (ricordate il muro?). Però Zanonato è riuscito a tenere un equilibrio che ha evitato l'espansione leghista e xenofoba e a portare avanti azioni significative sul piano dell'integrazione degli immigrati. Non so se alla lunga reggerà, visto ciò che accade in gran parte del nord, ma me lo auguro. Anche a Pisa c'è la ricerca di un equilibrio che ha bisogno del contributo di tutti. Penso poi che anche per le politiche repressive di stampo leghista verrà il momento della verifica dei fatti dato che i processi immigratori sono di una portata tale che non si può nascondere a lungo dietro alle misure demagogiche, ancorchè pericolose, e alle campagne propagandistiche di Bossi e Maroni.
3 Commenti
Caro Paolo,
come e’ gia’ successo altre volte, il tuo blog e’ un’occasione utile per dialogare senza anatemi reciproci, provando a capirsi: di questo ti ringrazio. Dico due parole sulle ultime cose che hai scritto, riguardanti i rom: e provo a farlo in modo pacato e ragionato come hai fatto tu.
Conosco bene la vicenda dei rom, e conosco le tue posizioni espresse quando eri Sindaco. Io credo che ci sia un errore fondamentale in quelle posizioni: l’idea per cui una politica di accoglienza funzioni solo se e’ in grado di fermare nuovi flussi. E’ un errore – a mio modesto parere, naturalmente – perche’ i flussi migratori dipendono da fattori molto complessi, che sfuggono ai poteri di un Comune. Solo per fare un esempio, dopo l’avvio di Citta’ Sottili sono arrivati i rumeni: e sono arrivati non perche’ “attratti” dal programma di accoglienza – di cui non sapevano e non sanno nulla – ma perche’ nel frattempo si e’ registrata in tutta Italia una nuova migrazione dalla Romania.
Le migrazioni dei rom sul territorio pisano non sono affatto “eccessive”. La Fondazione Michelucci ha mostrato anzi che stiamo assistendo a un trend discendente. Nel 1988, dati ufficiali parlavano di circa 600 rom solo al campo dei Mortellini: i numeri non sono molto diversi da quelli di oggi. D’altra parte, se fai un calcolo approssimativo degli arrivi e delle partenze – quale si può desumere dai dati ufficiali e da quelli “ufficiosi” – scopri che in citta’ sono arrivate negli anni ’90 circa 25-30 persone l’anno; oggi ne arrivano altrettante. I rumeni nei campi sono circa 200, e sono arrivati qui per la prima volta un decennio fa: significa 20 persone l’anno. Sono troppe, 20 persone l’anno? O non sono piuttosto movimenti fisiologici, normali in una societa’ estremamente mobile e fluida come la nostra?
Il problema casomai e’ che queste persone non riescono a inserirsi nel mercato abitativo, e finiscono nei campi. Ma allora bisogna porsi quel problema. E il limite della politica locale mi sembra proprio questo. Ci si pone sempre nell’alternativa drammatica e senza appello: o dare una casa a tutti, a carico del comune, o allontanare tutti. Bisognerebbe forse trovare un equilibrio tra questi due estremi, e provare – per esempio – ad agire sulle strozzature del mercato abitativo: per impedire che accada – come normalmente accade – che un rom che lavora, che ha un reddito regolare, non possa prendere in affitto una casa perche’ nessuno affitta agli “zingari”.
Procedere con sgomberi e allontanamenti non serve e niente: e questo tu, a differenza di altri Sindaci, hai avuto il coraggio di dirlo a suo tempo. Sai benissimo, come dovrebbero sapere tutti, che gli sgomberi non allontanano davvero queste persone: le spostano qualche centinaio di metri piu’ avanti, incrementando le loro sofferenze e la loro emarginazione. Se si partisse da qui forse troveremmo una risposta. Perche’ il consenso e’ importante e va gestito, ma lo si gestisce affrontando i problemi con senso della realta’ e non inseguendo i fantasmi.
Chiudo invece con una notazione di metodo. Tu scrivi che “anche a Pisa c’è la ricerca di un equilibrio che ha bisogno del contributo di tutti”. E io sono d’accordo: serve equilbrio, inteso come pacatezza, ragionevolezza, volonta’ di affrontare le situazioni. Non servono le sparate, e non servono soluzioni “semplici”, rozze: come lo sono gli sgomberi e la “caccia allo zingaro” di queste ultime settimane. E non servono gli anatemi. Qualcuno ha posto negli ultimi giorni il problema di donne e bambini costretti a vivere all’addiaccio e continuamente allontanati dalla Polizia locale: e’ un problema serio, perche’ riguarda persone in carne ed ossa. Ferrucci e Landucci hanno bollato queste preoccupazioni e queste critiche come anatemi di “frange della sinistra radicale”. Non mi pare questo un modo equilibrato di porsi.
Un caro saluto
sergio bontempelli
Causa le momentanee difficoltà per le nuove registrazioni, pubblico il commento di Giuseppe Marcocci
*****
La ringrazio molto per la sua risposta, che ha ben altri toni rispetto a quella ricevuta da Floriani e Fioravanti e che mi sembra confermare quanto ci sia bisogno di una sua rinnovata presenza in città. Per risolvere i difficili problemi dell”integrazione, si dovrebbe anzitutto parlarne, aprire una discussione pubblica. Che è quello che sui Rom a Pisa ancora non si è fatto. Non era mia intenzione stabilire una contrapposizione tra l”attuale giunta e le due che lei ha guidato. Ma mi pare che rimanga una differenza tra il sostegno a un programma all”avanguardia come “Città sottili” e una politica imperniata sulle ruspe contro le baracche. Quest”ultima non funzionerà mai, perché distrutto un insediamento se ne fa un altro. In Francia, dove la linea degli sgomberi a oltranza è stata inaugurata prima che da noi, le amministrazioni comunali l”hanno ormai abbandonata da tempo perché non portava a niente. Sono d”accordo con lei, il problema è complesso, pieno di contraddizioni. E fino a un anno e mezzo fa a Pisa si è fatto molto per contenerlo. Ma per proseguire su una linea fatta di solidarietà concreta e non di principio, bisognerebbe attenersi ai fatti. Lei parla di “presenza eccessiva”. Ma chi stabilisce il tetto-limite della presenza degli stranieri in un luogo? Non è un concetto un po” pericoloso? Qualche settimana fa ho letto sul Tirreno di una relazione della Fondazione Michelucci dove si dice che il numero dei Rom a Pisa è diminuito, non aumentato. E anch”io non vedo questa “invasione” di cui parla l”amministrazione comunale. Da quel che leggo sui giornali, a essere smantellati sono piccoli insediamenti, con poche famiglie (5-6 in media, con bambini al seguito). Assediano i quartieri? Non so, forse in qualche caso saranno costruiti in prossimità di case di italiani. Ma mi pare di capire che negli ultimi casi si trattava di situazioni ben diverse: qualche baracca in mezzo ai campi dell”Aurelia; qualche altra lungo gli argini dell”Arno, dietro l”ospedale – tutti luoghi lontani da case e quartieri. In realtà, mi sembra che siamo di fronte più a episodi di estremo disagio sociale che a un problema da affrontare con fermezza per evitare la reazione xenofoba dei cittadini. La quale, credo, si supera non agitandola come un fantasma, ma promuovendo la conoscenza dello “xenos”, dello straniero, del diverso. Se ci sono difficoltà economiche nel sostenere adeguate politiche sociali (e non stento a crederlo, con il governo che ci ritroviamo!), perché non provare a risvegliare la solidarietà dei cittadini pisani? Lei potrebbe forse avere la statura politica e la credibilità per farsi promotore di una nuova stagione, che veda lavorare insieme istituzioni e abitanti dei quartieri per una vivibilità nel segno dell”integrazione. Magari attraverso una giornata cittadina, che faccia il punto sulla questione con un convegno pubblico in cui intervengano esperti autorevoli, e che si concluda poi con un momento di festa e socialità che aiuti a superare la diffidenza di molti dei nostri concittadini verso i Rom. Non sarebbe il più bel segnale che il PD pisano può mandare oggi all”Italia impaurita che vota Lega Nord?
Mi spoglio per un attimo dei panni di gestore del sito per dare, anch’io, un contributo a questa discussione. Ho lavorato per un paio di anni in Kosovo come cooperante occupandomi anche della questione del rientro dei serbi. Ne parlo perché alcuni echi del dibattito sulla c.d. “questione” mi ricordano le discussioni e le riflessioni allora.
Per chiarezza preciso che mi riferisco solo ai casi“nitidi”: persone con residenza kosovara, casa e eventuali altri possedimenti in Kosovo certificati e riconosciuti dalle autorità internazionali, pochi e non provati sospetti sulle modalità di acquisizione di tali proprietà, nessun collegamento con le violenze a sfondo etnico operate nell’ultima fase di Milosevic. Dunque famiglie che avevano e hanno un indiscutibile diritto al rientro, sancito peraltro da un’infinità di carte dei diritti, risoluzioni e atti vari della comunità internazionale.
In teoria situazione semplice, dato che c’erano sostanziosi finanziamenti cui attingere. In pratica i rientri sono sempre stati molto difficoltosi e, in grande parte delle municipalità del Kosovo, si sono rivelati un vero e proprio “flop”. Gli unici che hanno avuto una qualche efficacia sono stati quelli in cui, chi vi ha lavorato, si è adoperato per una lunga e spesso complessa mediazione con i leader (spesso ex guerriglieri dell’Uck) della comunità albanese: si andava nel villaggio in cui doveva avvenire il rientro e, in qualche modo, si contrattava il rientro. Faccio notare che, laddove qualche risultato c’è stato, quasi mai è stato raggiunto perché la leadership albanese ha riconosciuto il diritto di quelle famiglie a rimettere piede nelle loro case, ma perché aveva ottenuto qualcosa in cambio.
I primi tempi ero quasi scandalizzato da questo “dover contrattare un diritto”: i diritti non si contrattano, si rispettano e si fanno rispettare. Eppure, per questa via, saremmo andati ad un muro contro muro, avremmo alzato soltanto il livello di conflittualità in un contesto che di tutto aveva bisogno tranne che di conflitti, senza riuscire ad avviare alcun rientro duraturo.
Lo stesso “muro contro muro” che temo si rischi di riprodurre oggi, anche a Pisa, sulla questione Rom: io penso che quando Fontanelli pone la “questione del consenso” tocchi un nervo scoperto e un nodo centrale di questa vicenda. Non solo per un fatto di calcolo elettorale, ma, proprio come spiega lui, “perché chiama in causa il tema della comprensione e collaborazione quotidiana, della convivenza in una città o in un quartiere”. Mi pare, mai come oggi, che, anche a Pisa, “la questione rom” abbia bisogno di tanta capacità di mediazione. E anche di provare a mettersi, tutti quanti, l’uno nei panni dell’altro: i cittadini pisani e chi amministra in quelli di chi vive negli accampamenti, ma anche (spero non suoni come una provocazione … perché ne sono convinto) i cittadini rom in quelli di chi amministra ed è alle prese con povertà crescenti, risorse sempre più scarse e un’opinione pubblica non proprio incline all’accoglienza nei loro confronti e in quelle della generalità dei cittadini.
Un percorso di questo tipo, però, oggi a Pisa è tutto da inventare e in salita. Per tanti motivi evidenziati negli altri interventi. E anche per un aspetto che, finora, mi pare si sia discusso un po’ poco: mi riferisco al ruolo dell’ associazionismo, migrante e non. Sempre di più negli ultimi tempi mi sembra che chiedano, legittimamente per carità, alle amministrazioni ciò che loro stesse non sono più in grado di affermare, costruendovi attorno dibattito e consenso, nella società. Colpa sicuramente di una cultura destrorsa ampiamente maggioritaria nel nostro Paese. Ma “colpa” anche a mio parere anche di loro stesse. Che prima hanno smesso di innovare la cultura di cui sono espressione. E poi, almeno a Pisa, secondo me hanno anche cominciato a smettere di farla.
A me, come ad molti altri, capita di frequentare spesso parrocchie e circoli, ultimamente anche quelli del pd. Ma secondo voi in questi luoghi, che dovrebbero essere i luoghi principali del protagonismo della cittadinanza attiva e della partecipazione politica, non è attecchito un po’ di quel “leghismo” culturale che tutti quanti (almeno qui) condanniamo? Allora, mi chiedo e vi chiedo: va bene fare “lobby” a partire dai diritti di chi è escluso, ma non è, forse, il caso di ricominciare anche a fare un po’ di cultura e di partecipazione?
Infine un paio di considerazioni stimolate da Sergio. I numeri su “quanti sono i rom” sono sempre molto rischiosi e anche quelli resi noti recentemente dalla Fondazione Michelucci sono, a parer mio, opinabili (mi riprometto di tornarvi in altra sede). Adesso, però, m’interessa evidenziare tre tendenze, note e confermate anche dai resoconti di stampa relativi al censimento della Michelucci: (a) i rom in Toscana sono pochi ma (b) in termini relativi a Pisa sono tanti anche se (c) dall’inizio dell’anno ad oggi vi è stata una (lieve) diminuzione.
Allora: (1) per quanto i legami di causalità siano sempre “roba” complessa, siamo davvero così sicuri che fra le tante concause che hanno portato a tale diminuzione non possano essere inserite anche le scelte della giunta Filippeschi? Personalmente non ho risposte: mi sembra, però, che la tempistica di certi provvedimenti in qualche misura collimi e, quindi, non mi sento di escluderlo a priori. (2) E’ chiaro anche a me che i provvedimenti di sgombero si traducono, semplicemente, in uno spostamento del problema da un luogo all’altro e non nella sua soluzione: era chiaro anche alla giunta Fontanelli quando, dopo la tragedia di Livorno, pose la questione di un coordinamento regionale e di una maggiore corresponsabilità quanto meno degli altri comuni capoluogo. E, penso, sia chiaro anche alla giunta Filippeschi dato che nel febbraio scorso ha riproposto lo stesso tema all’amministrazione regionale. Però quel coordinamento non è mai partito. Io penso che sarebbe stata, e potrebbe essere ancora, una buona cosa.
Per questo vorrei domandare a Sergio e alle associazioni di migranti o che stanno accanto ai migranti, legittimamente protagoniste negli ultimi tempi di interventi duramente critici nei confronti dell’amministrazione comunale, se condividono l’esigenza di questo coordinamento e di questa maggiore corresponsabilità, e, nel caso, perché non si sono fatti promotori di analoghe iniziative critiche nei confronti delle altre amministrazioni che, un pochino, hanno fatto orecchie da mercante. Però vorrei domandare anche al Pd, che è forza di maggioranza in tanta parte dei Comuni della Toscana, se non sarebbe stato il caso (e se non è ancora) di aprire un minimo di riflessione su questo “nicchiare” di tanti suoi amministratori a fronte alla domanda di un’assunzione di maggiore corresponsabilità. “Il problema degli altri è uguale al mio: uscirne insieme è la politica, uscirne da soli è l’avarizia” insegnava don Milani a Barbiana. Ecco, ho l’impressione che, in tutti quanti e da tutti i diversi punti di vista, nel ragionare sulla “questione rom” vi sia un po’ troppa avarizia e poca politica.