Riprendo il taccuino dopo lo stacco di qualche giorno. Tuttavia le notizie e le immagini delle zone colpite dal terremoto sono state un elemento costante di riflessione. In questi casi le persone si fanno tante domande, anche alimentate dagli organi di informazione, manifestando una sorpresa che è spesso assai esagerata. Ma succede sempre così nei casi di catastrofi naturali.
In una dimensione certamente più ridotta è stato così anche in Alta Versilia nel 1996 con la devastante e distruttiva alluvione che portò via con sé case, uomini, donne e bambini, cui ho ripensato più volte in questi giorni. Ci chiediamo perché è successo e poi cerchiamo e vediamo le responsabilità dell'uomo che, in una certa misura, ci sono sicuramente state. Ma la sorpresa non è giustificabile perché si sa da tempo, da tanto tempo, che certe calamità si possono combattere solo con la prevenzione e quindi con un'ampia possibilità di ridurre i rischi per le vite umane. Però in Italia una politica per la protezione civile intesa come prevenzione non si è mai fatta. Ci sono solo poche esperienze fatte in alcune Regioni; e la Toscana è fra queste soprattutto sul rischio sismico. Risale al 1997 il primo accordo di programma sottoscritto dalla Regione Toscana con l'allora responsabile della Protezione Civile Franco Barberi. Proprio lui, poi cacciato dal Governo Berlusconi nel 2001, sosteneva la necessità di mettere la prevenzione davanti a tutto. Invece è andata avanti è una idea di Protezione Civile intesa come esclusiva gestione dell'emergenza. E meno male che in Italia c'è una forte presenza del volontariato che nei casi di calamità esprime una forza davvero eccezionale. Ma questa risorsa rischia di divenire un limite perché finisce per "nascondere" le cause del problema e le azioni necessarie a rimuoverle. Basta pensare al fatto che proprio nei giorni precedenti il terremoto in Abruzzo si stava operando per prorogare nuovamente le norme antisismiche predisposte dopo il terremoto dell'Umbria e delle Marche e ancora inattuate a quasi dieci anni di distanza. Peccato che questa notizia non abbia trovato grande fortuna nell'informazione televisiva e nella carta stampata: avrebbe aiutato a vedere sotto una luce diversa anche il dramma dell'Abruzzo. Invece, con molta probabilità, siamo di fronte alla manifestazione di un nuovo populismo costruito sull'emergenza, incentivato dall'operare del Presidente del Consiglio. Con il concorso della libera informazione italiana.
3 Commenti
Mettiamolo sui manifesti che la Toscana e` avanti sul rischio sismico, se no sembra che siamo tutti colpevoli allo stesso modo. E poi sommessamente ricordiamo che e` difficile per i comuni, strangolati dai tagli, mettere al primo posto la prevenzione.
Talvolta si ha la sgradevole sensazione che il terremoto per il premier sia stato come il cacio sui maccheroni. Una bella passerella et voila, i sondaggi volano. Basta che non lo dica nessuno. A quando una iniziativa sulla liberta` di satira, di stampa e di parola?
E’ vero, siamo di fronte ad una ennesima manifestazione di demagogia costruita sull’emergenza, alla strumentalizzazione di una catastrofe a cui il nostro Paese non è nuovo e tuttavia di prevenzione non si parla. Questo drammatico evento e le modalità con cui il governo lo sta affrontando mi hanno suscitato alcune riflessioni
E’ passato un anno dalle ultime elezioni politiche, una sconfitta purtroppo annunciata come annunciata, secondo il parere di molti esperti, la tragedia dell’Abruzzo che conclude l’arco di tempo che sto considerando. Un anno difficile, irto di asperità, un anno di strenua resistenza alle azioni di un governo che calpesta con protervia i diritti più elementari, ignora le aspettative più legittime, viene meno sistematicamente a doveri istituzionali, propone modelli basati sull’apparire e non sull’essere, privilegia l’interesse privato dopo aver distrutto, come ho già avuto occasione di dire, tutto un sistema di valori, tra cui quello della solidarietà. Ed a proposito di solidarietà, ricordo che, in occasione della manifestazione di chiusura della campagna elettorale dell’aprile dello scorso anno, Pamela Villoresi recitò una poesia di Teresa di Calcutta dal titolo “Vivi la vita” . Ed è di Teresa di Calcutta una frase che in questi anni mi torna spesso alla mente: “nel mondo c’è più bisogno di amore che di pane”. Non importa esser credenti per condividere il messaggio di quelle parole, perché esse non hanno riferimenti di fede religiosa, ma richiamano a quella solidarietà umana che oggi sembra smarrita. L’individualismo egoistico che connota questo nostro tempo ha determinato una desocializzazione dell’individuo sì da renderlo isolato, atomizzato, tant’è che qualcuno sostiene che la società non esiste, esistono atomi, individui mossi esclusivamente dall’interesse personale, strettamente autointeressati. Io non sono di questo pensiero, io creso che
l’uomo, come afferma Aristotele, sia uno zoon politikon , cioè un animale sociale che non può vivere fuori dalla comunità e che di essa è membro; e ritengo che debba essere membro non solo della comunità a lui prossima, ma membro di una comunità, la più ampia possibile, addirittura mondiale, nella quale agisce secondo i principi della democrazia, lo strumento del dialogo ed il senso del rispetto delle diversità (religiose, politiche, culturali, di orientamento sessuale). Mi rifiuto di credere che siamo ad un punto di non ritorno, continuo a respingere il concetto dell’homo homini lupus, sono invece convinta che molto si possa e si debba fare. Per questo vorrei concludere con una citazione tratta da un articolo di Laura Pennacchi scritto all’indomani del voto politico del 2008: “la riflessione a cui oggi il Partito Democratico è chiamato deve essere all’altezza dello spessore e della complessità dei problemi evidenziati dall’esito del voto del 13 e 14 aprile. Il primo e più importante dei quali è il dovere di un grande investimento culturale, la necessità di un largo sforzo di discussione e elaborazione collettiva che da una parte incorpori ricerca e analisi, dall’altra si cimenti con la produzione di nuovo pensiero e di nuova teoria……..i compiti immani di fronte a noi sono affrontabili solo attraverso la collegialità, la condivisione, la partecipazione, il concorso di molte intelligenze, l’attivazione di tutte le passioni.”
Paola
X Paola leggo sembre molto volentieri le tue riflessioni che di solito condivido in gran parte.
Invoto a legere l’articolo di Ilvio Diamanti ” La tirrannia della bontà” scritto su Repubblica di oggi.
Ma mi sorge una domanda “Noi del PD chi siamo?”
Spesso negli interventi a livello provinciale sento persone che condanano la gerontocrazia a tutti i livelli anche quella imprenditoriale ” se sei figlio di un imprenditore farai l’imprenditore,ecc….ecc…..”, e questo è giudicato negativo perchè non crea mobilità sociale in una società democratica che dovrebbe essere aperta e inclusiva per creare integrazione sociale e diminuire le disugualianze. Ora questo dovrebbe essere un concetto condiviso dal PD almeno se non ho interpretato male i vari interventi in merito.
Quindi cosa pensare in merito a quanto leggevo su un quotidiano in questi giorni sul fatto che MPS a preso una delibera dove 100 Manager vanno in pensione anticipata ma invece di fare un bando pubblico vengono assunti i figli di chi va in pensione?
Non solo non si crea mobilità sociale, ma si aggravia anche il bilancio pubblico sul fronte pensionistico, inoltre molti di questi Manager saranno sempre in età idonea e con competenze specifiche per lavorare in una qualche forma in strutture di servizio togliendo possibilità ad altri di trovare un posto di lavoro.
Da quando o memoria o sempre sentito dire che MPS è una banca vicina alla sinistra, allora mi domando cosa è la sinistra?
Fini parla di ” economia sociale di mercato” noi di cosa parliamo?
Visco in una intervista rilasciata al Riformista spara nel mucchio dell’evasione ( leggi articolo in merito sul sito del PD di Bientina) e vorrebbe ritrodurre L’iCI compreso quella tolta dal governo dell’Unione.
Ora in una società solidale la tassazione progressiva sui redditi è un dovere sociale,ma lo è anche il fatto di essere rispettato come cittadino concetto che non è ne di destra ne di sinistra ma è solo democratico, e il rispetto del cittadino contribuiente è un atto materiale che avviene con l’uso equo e sociale delle risorse disponibili ( chi dissipa o spende male non attua l’interesse sociale).
Inoltre leggevo sul Tirreno di qualche giorno addietro di alcuni Manager pubblici che decantavano le loro competenze, mi ha incuriosito uno in particolare ex dirigente DS ora Manager pubblico alla domanda del giornalista se riteneva di avere le giuste competenze a risposto ” prima del mio nuovo incarico ho letto parecchie cose di Econimia”, come dire ragazzi non l’aureatevi piùprendete una tesera di partito, assecondatevi al conformismo da gregge e se aspettate pazzienti il vostro turno un giorno avrete un posto di lavoro ben remunerato in barba alla mobilità sociale e al merito.
Buona Domenica a tutti.