Stamani, in treno per Roma, ho avuto modo di scambiare opinioni e impressioni sulla politica con due amici di vecchia data. In primo luogo sul sospiro di sollievo prodotto dal risultato finale delle elezioni presidenziali austriache. Una vittoria della destra, come si annunciava, avrebbe rappresentato una spinta ulteriore al populismo di stampo peggiore e avrebbe aperto una falla profonda nella tenuta dell'unità europea proprio nel cuore dell'Europa. E ciò alla vigila di un appuntamento estremamente difficile come il voto su Brexit. Tuttavia la vittoria del verde Van der Bellen non diminuisce l'allarme per l'aumento dell'attrazione delle posizioni nazionaliste e xenofobe, che ingrassano sull'onda delle insicurezze e delle paure attivate dalla crisi economica e sociale. Tutto ciò non trova una spiegazione esauriente solo nelle politiche europee, nella ottusità di un rigorismo che blocca gli investimenti e lo sviluppo e di un burocratismo eccessivo. Certo, se vogliamo recuperare fiducia, quello che occorre in primo luogo è una svolta chiara negli indirizzi e nell'azione dell'Europa. Ma nell'onda montante del populismo c'è qualcosa di più di questo, che investe anche la sfera della cultura, dei valori di riferimento fondamentali, che va indagato più in profondità; e va affrontato con un processo in grado di mobilitare idee e energie, rimettendo in moto forme di democrazia partecipativa. L'evoluzione dei sistemi politici sempre più spinti sul piano del potere dei leader, della personalizzazione come veicolo del consenso mediatico, apre spazi ancora più grandi al populismo. Di questo abbiamo discusso, proprio partendo da una considerazione che valuta come ormai affermato e irreversibile il processo di assorbimento totale della funzione della politica nella figura del leader. Su questo punto, pur condividendo l'approccio critico, si sono manifestate idee diverse, soprattutto sulla possibilità o meno di determinare una inversione di tendenza. E soprattutto nessuno di noi tre se la è sentita di spendere qualche parola di speranza sul ruolo del PSE, che in questa fase così difficile sta dando una prova di assenza assai clamorosa. Uno dei due amici, che da sempre ha simpatie ambientaliste, mi ha sfottuto un po' chiedendo "se non sia stata proprio l'adesione del PD al PSE il motivo della sventura o della sfiga in cui è finito il socialismo europeo". Ovviamente ho risposto che semmai è sul ritardo con cui ci siamo arrivati che si dovrebbe ragionare e che ci ha impedito di dare un contributo efficace. Ma i motivi della crisi dei partiti che si richiamano al socialismo europeo vengono, a mio parere, da più lontano, dall'appannamento dei contenuti sui temi dell'equità e della lotta alle diseguaglianze in ragione di una visione di sostanziale subalternità al neoliberismo. Penso quindi che un rilancio della sinistra in Europa sia possibile solo ripartendo da un progetto nuovo, ancorato ai mutamenti in corso, ma imperniato sul recupero dei valori di civiltà, di democrazia e di eguaglianza che sono l'essenza di un vero e giusto cambiamento. Ho insistito molto su questa argomentazione, ma non sono sicuro di avere inciso molto sullo scetticismo dei miei due interlocutori.
La conversazione di viaggio non poteva comunque scansare il tema della riforma costituzionale. Anche su questo punto prevalevano nettamente i dubbi e le perplessità e io, che pure sono abbastanza critico, ho cercato di far emergere i punti positivi della riforma. Ci ho provato e ho visto che entrando nel merito si può discutere costruttivamente, purché non si assuma un punto di vista assoluto, spiegato come una verità che non consente dubbi come fanno molti sostenitori del SÌ. Anche le posizioni contrarie possono contribuire, se si portano a dibattere del merito, ad una valutazione più equilibrata e anche più efficace delle ragioni che consigliano il superamento del bicameralismo paritario. Tra l'altro mi domando se certe certezze che vengono proclamate sul piano degli effetti efficientistici vengano soppesate con cognizione di causa. Forse non si pensa abbastanza al fatto che, in materia di funzionamento delle istituzioni, dopo la propaganda viene la verifica concreta e io non ho su questo piano tutte quelle sicurezze di cui si parla sulla semplificazione dei procedimenti legislativi e sulla riduzione dei costi. Ma il tempo, in questi casi, darà dei responsi puntuali e consentirà le verifiche del caso, e anche delle parole pronunciate. Per questo credo che la radicalizzazione della polemica sul referendum, che porta ad accentuare una spaccatura verticale nel Paese, sia un fatto negativo. Dopo non sarà facile rimettere insieme i pezzi e senza un recupero di un ampio livello di coesione non è semplice costruire le condizioni per uscire dalla crisi.
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