Il conflitto nel PD ha raggiunto la soglia della possibile rottura definitiva. Questa è la sensazione che viene fuori dalle iniziative e dalle posizioni di questi ultimi giorni. Del resto in giro, nell’ambito del PD, si trovano molti sostenitori sia dell’idea che “è bene che la minoranza se ne vada perché ostacola la linea”, oppure di quella che “nel PD non c’è più spazio per la sinistra perché è diventato il partito di Renzi”. Nonostante ciò, però, c’è ancora nel partito chi vuole provare a ricostruire le condizioni per uno sbocco unitario, nel quadro di un partito plurale che rispetta, e anzi valorizza, il confronto delle idee e la diversità di posizioni. In fondo il PD è nato dall’incontro fra culture e storie diverse. Ma per attuare concretamente questo proposito occorre pensare a guide e leadership collegiali e non al comando di un uomo solo con i suoi staff, con la pratica delle scelte politiche votate e imposte a colpi di maggioranza. Invece è proprio quanto è accaduto con la segreteria di Renzi. Ora, dopo le sconfitte alle elezioni amministrative e nel referendum, e alla demolizione dell’impianto politico ispiratore della legge elettorale bocciata dalla Consulta, sarebbe saggio aprire una seria fase di riflessione e di correzione sulla linea politica seguita finora. La via è certamente quella del congresso, che se fatto bene, con i tempi giusti per riattivare il rapporto con la società e capire i cambiamenti, ha bisogno di alcuni mesi e non di qualche settimana. Ma questo non sarebbe possibile se invece si punta a fare le elezioni politiche subito, prima del congresso, perché è evidente che tale scelta muove dalla convinzione che non c’è niente da cambiare, che tutto quello che si è fatto andava bene, che i risultati sono soddisfacenti; e allora si cerca la rivincita anche a costo di mettere il Paese nella più totale ingovernabilità. Peraltro arrivando a questo sbocco con un PD che in meno di una legislatura ha prodotto tre cambiamenti nella guida del Governo. Come potremmo sostenere, con le elezioni anticipate, che noi siamo la stabilità e Grillo l’anarchia? Soprattutto se rilanciamo una proposta politica fondata sull’auto sufficienza?
Penso, sempre per stare sul piano della saggezza, che la cosa più logica sarebbe quella di sostenere il “governo Gentiloni” fino al termine della legislatura individuando alcuni problemi prioritari con i quali dare una risposta visibile al forte malessere sociale diffuso nel Paese, soprattutto sul piano dell’equità e della lotta alle diseguaglianze. Non c’è altro modo per contrastare il populismo. È un’illusione, lo abbiamo visto, pensare che Grillo o la destra si battono con l’immagine e la comunicazione del leader, peraltro uscita assai ammaccata dalla vicenda referendaria. Quindi “chi ha cervello l’adopri”, dice un vecchio detto. E poi, una domanda: ma voi sentite in giro, tra le persone, tutta questa voglia di andare subito alle elezioni?
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