Rientrata in agosto la crisi con la nuova intesa fra PCI e PSI passarono solo poche settimane fino alla esplosione di nuove polemiche nella maggioranza. Com’è comprensibile le opposizioni, la DC innanzitutto, incalzarono il Sindaco perché si dimettesse aprendo la strada ad una alleanza che escludesse il PCI. Cosa, questa, auspicata con motivazioni molto differenti anche da Democrazia Proletaria. Il PSI confermò la fiducia alla Giunta ma non prese impegni per il futuro, mantenendo aperta la possibilità di scegliere con chi allearsi dopo il voto amministrativo previsto per l’anno seguente. Ma nel contempo, al suo interno, nel gruppo consiliare, si aprì una fase di polemiche e divisioni.
Nello stesso periodo nel PCI si affermò l’esigenza di sviluppare una riflessione sul Preliminare del Piano Regolatore Generale, che era in elaborazione e doveva arrivare alla meta entro la fine del mandato amministrativo. Le premesse stavano ovviamente nelle scelte indicate dal congresso verso una maggiore attenzione alle problematiche ambientali. Per questo il PCI pisano decise di organizzare una iniziativa di confronto pubblico, aperta e mirata a alzare il livello della discussione intitolata “Verso quale città”. Si svolse il 10 novembre al Palazzo dei Congressi con un programma molto impegnativo. Rileggere oggi le relazioni e i contributi di allora è certamente interessante.
Gli assi principali di quella iniziativa ruotavano su tre binari: quello di ragionare sulle scelte strategiche per la città; quello di contestare con dovizia di argomentazioni l’etichetta di immobilismo che la DC e alcuni giornali e associazioni attribuivano alle giunte di sinistra e in particolare al PCI; quello di indicare nella pianificazione urbanistica la priorità del recupero rispetto allo sviluppo edilizio basato sul consumo di nuovo suolo. Qualità anziché quantità, questo era il tema centrale. Su questi problemi anche nel PCI vi erano idee e opinioni differenziate, che talvolta accendevano un dibattito non facile perché coinvolgeva ruoli e funzioni diverse. Ma il successo di quella iniziativa contribuì certamente ad allargare la visione sulle prospettive possibili per la città.
Contestualmente ci fu proprio in quei giorni il “crollo”del muro di Berlino e il 12 novembre Occhetto annunciò alla Bolognina la svolta sul nome del partito comunista, e si aprì un’altro capitolo, destinato a impegnare la mente e il cuore di migliaia di iscritti e di militanti per settimane e mesi in tutto il Paese. Non senza lacerazioni. La Direzione Nazionale fu subito convocata per il 15 e il Comitato Centrale per il 20 novembre. Gli organi della Federazione pisana per il 16 il Direttivo Provinciale e per il 24 novembre il Comitato Federale.
Ovviamente non intendo riprendere il senso e i contenuti di quel passaggio, che condivisi, nonostante qualche distinguo sul percorso, mi limito a ricordare alcuni dettagli che possono incuriosire o far capire la portata di quella discussione. Le prime decisioni riguardarono la convocazione delle assemblee degli iscritti in tutte le sezioni della provincia, e anche l’attivazione di una presenza permanente in Federazione dei dirigenti che, facendo i turni, dovevano rispondere ai militanti che chiedevano spiegazioni o protestavano direttamente o per telefono. In una vecchia cartella ho ritrovato gli appunti sulla prima riunione del Comitato Federale, molto affollata e con 44 interventi, dei quali almeno 18 contrari alla svolta. Ma eravamo solo all’inizio di un confronto che si sviluppò per sedici mesi e si concluse al congresso di Rimini nel gennaio del 1991. Intanto arrivava il 1990 con l’importante scadenza delle elezioni amministrative.
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